Quell’assurda polemica che dimentica la storia
Temevo una delusione (in genere non mi piacciono e non capisco le installazioni astratte oggi assai rispondenti al trend del mercato) ma mi attendeva tutt’altro. Quando arrivammo all’angolo della piazza del Popolo, la principale della città , il mio sguardo fu attratto da fogli sparsi di documenti, volantini, pagine di giornali, alquanto ingiallite dal tempo, che svolazzavano sul marciapiede. Ci misi qualche istante ad accorgermi che quello svolazzamento era solo un effetto ottico: si trattava di ceramiche serigrafate con una tecnica di cottura a 900 gradi sparpagliate e inserite nell’asfalto che riproducevano fogli stampati tanti anni prima. Precisamente nel 1938, anno delle leggi razziali che dovevano culminare nel 43-45 con lo sterminio di più di ottomila ebrei italiani, coinvolti nel genocidio nazifascista. Il titolo di questo straordinario epitaffio – dedicato a una memoria che resta viva, proprio perché non pietrificata in un monumento simbolico, ma esternata in un “ritorno”, virtuale e assieme realistico, a un passato che non può passare – è stato chiamato “fogli fossili”. L’iniziativa ha un precedente cui si ispira, un analogo ricordo, prospiciente l’Ateneo di Monaco di Baviera, dedicato ai Sei della Weisse Rose, la Rosa Bianca, cinque universitari ventenni, fra cui una ragazza, e un loro insegnante, tutti di fede cristiana militante, accusati nel ’42 di aver diffuso volantini anti nazisti e condannati dal tribunale alla decapitazione. Gli studenti pesaresi, guidati dalla loro preside, Marcella Tinazzi, in visita a Monaco, ne erano rimasti molto impressionati e si erano rivolti anche all’artista bavarese Robert Schmidt-Matt per fruire dei suoi consigli tecnici. Dopo di che tradussero l’idea per rievocare l’effetto delle leggi razziali con particolare riguardo a quello che era avvenuto a Pesaro. Di qui la riproduzione dei provvedimenti prefettizi e del Municipio per applicare le vessatorie disposizioni emanate, i divieti di celebrare matrimoni misti, moduli di censimento degli ebrei, dichiarazioni di appartenenza giudaica, pagelle con sovrimpressa l’espulsione di scolari ebrei e due testate di giornale, l’uno locale, “L’Ora”, che magnifica l’originalità della legislazione antisemita italiana, e, l’altro, il più importante e antico quotidiano regionale, “Il Resto del Carlino” di cui viene riprodotta – tagliata della testata! – la prima pagina del 3 settembre 1938 che a nove colonne annunciava trionfalmente: “Gli insegnanti e gli alunni ebrei /esclusi dalle scuole a datare da 16 ottobre”. Anche se su scala nazionale non se ne è avuta, se ben ricordo, alcuna ripercussione, nella mia recente visita vengo a sapere della assurda polemica che è stata scatenata allora localmente dal centro destra e dalla direzione del “Resto del Carlino” con il pretesto che “voler ricordare una pagina pubblicata in un determinato periodo storico buio è offensivo per una testata giornalistica che ha dimostrato invece di avere una tradizione democratica”. Altri, costernati all’idea che qualcuno calpestasse il “Carlino” di ieri, senza distinguerlo dall’odierno, ha suggerito di sostituire il foglio bolognese con qualche giornale “chiuso per sempre con la caduta del fascismo”. Forse il “Tevere” o “Il Popolo d’Italia”; quotidiani del regime mussoliniano? Alla fine il Comune di sinistra, pro bono pacis, ha accettato una paradossale “damnatio memoriae” all’incontrario: lasciare il titolo ma cancellare la testata! Perché meravigliarsi se oggi ci sono deputati che rivendicano la fine del divieto di ricostituzione del partito nazionale fascista?
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