Quella “gita” segreta in gommone per riconoscere il governo di Bengasi

by Editore | 2 Aprile 2011 6:48

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ROMA – Tutto è iniziato con una “gita” in gommone. «Quando i nostri uomini hanno visto l’ambasciatore e il generale salire sui gommoni per sbarcare nel porto di Bengasi si sono fatti il segno della croce: il mare era forza 5, in un istante quei gommoni avrebbero potuto rovesciarsi, l’Italia avrebbe risposto con un miserabile naufragio agli inglesi che si erano fatti catturare 6 soldati delle Sas assieme a due diplomatici!». L’ironia non manca all’ufficiale di Marina che racconta questa scenetta: si riferisce ai suoi colleghi imbarcati sull’incrociatore Andrea Doria. Quello sbarco in stile “teste di cuoio” era una fase cruciale della missione segreta che il 9 marzo l’ambasciatore Pasquale Terracciano e il generale Claudio Graziano, con sprezzo del pericolo, hanno messo a segno in Cirenaica. Il capo di Gabinetto di Frattini e quello del Ministero della Difesa avevano volato in elicottero sul Doria da Catania dopo un trasferimento notturno da Roma alla Sicilia. Compito della missione era sbarcare a Bengasi per prendere contatto con il Consiglio dei ribelli, portare un messaggio di riconoscimento del governo italiano e di fatto insediare il nuovo console d’Italia a Bengasi, quel Guido de Sanctis che da allora di fatto è diventato l’ambasciatore italiano in Cirenaica. Due giorni prima, il 7 marzo, il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva telefonato al capo del Consiglio, Mustafà  Abdel Jalil, per annunciargli l’intenzione di mandare i due dirigenti di Esteri e Difesa a Bengasi, e soprattutto l’idea di accreditare un diplomatico alla corte dei ribelli. Preparata sul terreno dagli agenti dell’Aise del generale Adriano Santini, la missione era rischiosa perché nella prima settimana di marzo, la scommessa politica fatta sui ribelli era ancora assolutamente un azzardo. Gli italiani incontrano Jalil dopo un lungo e complicato viaggio in auto: il luogo è una tenda, nelle migliori tradizioni dei capi libici. Terracciano, ex ambasciatore a Madrid, ex capo ufficio stampa della Farnesina con Fini e ancora prima vice-capo di gabinetto, è uno dei diplomatici che ha spinto perché il governo abbandonasse al più presto la linea di “difesa passiva” di Gheddafi scelta inizialmente. La missione a Bengasi è davvero un rischio, per lui, per il ministro che gliel’ha ordinata, per tutto un ministero che negli anni si era cullato nella beata illusione della immortalità  politica di Gheddafi. Jalil – dicono alla Farnesina – quel 9 marzo «ringrazia il governo italiano per essere stato il primo a mandare una delegazione a Bengasi e per gli aiuti già  arrivati in porto». L’Italia ha da farsi perdonare il rapporto strettissimo con Gheddafi, anche se tutte le capitali europee per anni avevano giocato la stessa politica: dimenticarsi dei diritti umani in Libia in cambio di contratti e petrolio. Da quel 9 marzo i rapporti fra Roma e Bengasi continuano sotterranei. Frattini si sente più volte al telefono con Mahmoud Jabril, il tecnocrate che è diventato primo ministro dell'”amministrazione” provvisoria scelta da Bengasi per governare per il momento quella parte di Libia. In Cirenaica De Sanctis per molti giorni rimane uno dei pochi se non l’unico inviato europeo: il Dipartimento di Stato si rivolge all’italiano e non ai francesi per prendere alcuni contatti con il Cnt, e lo stesso fanno la Ue e perfino la Gran Bretagna (che negli ultimi giorni sembra però aver recuperato alla grande se non altro nella capacità  di convincere alla defezione gli uomini di Gheddafi): il 29 marzo comunque l’ambasciatore britannico Chris Prentice, in missione a Bengasi, incontra e ringrazia de Sanctis proprio in un ufficio messo a disposizione dal Cnt. Con questo lavoro – dicono fonti della Farnesina – si arriva all’incontro che lunedì Frattini avrà  a Roma con il “ministro degli Esteri” del Cnt di Bengasi. Alì Al Isawi, ex ambasciatore a New Delhi, il primo a dissociarsi pubblicamente da Gheddafi all’inizio della crisi, arriverà  con la richiesta – logica – di convincere anche l’Italia a riconoscere il Cnt come unico rappresentante del popolo libico. La risposta italiana sarà  positiva, ma secondo il ministero degli Esteri a questo punto è utile che tutti i 27 paesi europei riconoscano insieme un nuovo status al Cnt. E questo prevedibilmente sarà  la prossima tappa fra qualche giorno: l’Europa, unita, riconosce il Consiglio di Bengasi come rappresentante della “Nuova Libia”.

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