Quando il giornalismo è in conflitto di interesse

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La lunghezza e la ferocia dell’articolo suggeriscono che evidentemente ho toccato un tasto importante. Che cosa ho scritto per giustificare tanto rancore da parte di Ferrara? In un pezzo su una serie di conflitti d’interesse nell’Italia berlusconiana, ho scritto: «Stranamente non desta nessuna meraviglia o indignazione il fatto che Giuliano Ferrara, ex portavoce del primo governo Berlusconi, direttore di un quotidiano della famiglia Berlusconi, cominci una feroce controffensiva pubblicitaria a difesa di Berlusconi, proprio dopo un incontro personale con Berlusconi, e che gli venga dato un programma in prima serata alla Rai. Tra i mille scandali dell’epoca berlusconiana, questo è evidentemente di poco peso. Ma in realtà , il fatto che un ex portavoce di un leader politico, che riceve tuttora uno stipendio dalla famiglia Berlusconi, abbia anche un programma su una delle principali reti pubbliche del Paese è uno scandalo». Ferrara fa una specie di apologia pro vita sua – il che va benissimo, ha molte doti e ha fatto molte cose di cui essere orgoglioso – parla della sua amicizia con mio padre, genuina e sincera da ambedue le parti, per poi scendere in un attacco molto personale nei miei confronti arrivando perfino a chiamarmi «un figlio parricida». Qui fa un’ingiustizia a un suo amico, mio padre. La logica bizzarra di Ferrara sarebbe più o meno questa: le mie critiche alla corruzione dei politici degli Anni 80 e alle nefandezze dell’era di Berlusconi rappresentano un attacco contro mio padre – come se mio padre fosse un indagato di Tangentopoli. Sarebbe come se io riducessi l’impegno anti-comunista di Ferrara (che credo sincero) in un desiderio suo di uccidere suo padre comunista. Le mie critiche a Ferrara erano puramente professionali: considero un serio conflitto d’interesse per un giornalista avere un programma del servizio pubblico mentre dirige un quotidiano della famiglia Berlusconi. Questo non significa che sia un uomo venduto. Ferrara cita i casi americani di William Safire e George Stefanopolis – ex portavoci di presidenti americani che poi hanno lavorato con successo come giornalisti. Ma omette che sia Safire che Stefanopolis hanno dovuto tagliare qualsiasi rapporto professionale ed economico con la politica attiva quando hanno fatto il passaggio al giornalismo. L’anno scorso, Keith Obermann, conduttore di un programma di informazione politica sulla rete Msnbc, è stato sospeso dal lavoro perché è venuto fuori che ha versato alcuni contributi (del tutto leciti) a campagne elettorali di candidati democratici. Il programma di Obermann era apertamente schierato: lui non aveva ricevuto un centesimo da nessuno, aveva solo dato un po’ di soldi, tutti registrati per legge. Considero, personalmente, questa un’esagerazione. Ma la Nbc ha stabilito che questo rapporto economico abbia in qualche modo compromesso il necessario distacco dei giornalisti nei confronti della politica. Ho sempre apprezzato Giuliano Ferrara e l’ho considerato un amico nonostante avessimo punti di vista politici molto diversi. Mi è sembrato una persona capace di separare scontri politici anche molto accesi da rapporti personali. L’ho invitato a partecipare alla presentazione del mio libro su Berlusconi proprio per stimolare un dibattito civile. Non credo di avere un monopolio della verità  e credo che Ferrara possa avere ragione su alcune questioni o comunque avere molto da contribuire per spingerci verso una visione più sfumata e complessa della realtà . Giuliano Ferrara ed io abbiamo un lungo contenzioso da quando Silvio Berlusconi è entrato in politica. Ho detto fin dall’inizio che il conflitto d’interessi presentato da Berlusconi sarebbe stato un disastro per l’Italia: il miscuglio di interessi massicci privati e poteri pubblici avrebbe impedito a Berlusconi di liberalizzare l’economia e di fare riforme di cui il Paese aveva bisogno. Ho detto che un imprenditore con tanti scheletri nell’armadio avrebbe dovuto paralizzare il sistema giudiziario per difendere i propri interessi. Ho detto che il proprietario delle tre principali reti televisive non avrebbe dovuto controllare il sistema televisivo pubblico e che avrebbe deformato l’informazione in Italia. Ho detto che un tale concentramento di potere nelle mani era un male per la democrazia in Italia e che avrebbe messo in crisi le istituzioni del Paese. Questo punto di vista l’ho ripetuto tante volte in diciassette anni. E capisco che può sembrare a Ferrara «noiosa» e «pedante», questa litania, ma purtroppo tutto quello che è successo credo che abbia dato ragione al mio punto di vista. Ho sempre considerato molto grave l’abitudine di molti giornalisti di prendere un secondo stipendio scrivendo rubriche per Panorama (giornale della famiglia Berlusconi) pur occupandosi di affari nazionali. E credo che la sinistra italiana avrebbe fatto molto bene a fare una legge sul conflitto d’interessi non diretta esclusivamente contro Berlusconi ma anche contro categorie che sono vicine alla sinistra (professori universitari, magistrati, doppi incarichi di sindaci, parlamentari, europarlamentari). Ferrara ha una concezione molto diversa della deontologia professionale. Si è vantato di aver preso soldi dalla Cia come informatore – un fatto che mio padre non avrebbe approvato. E Ferrara non vede nulla di male nella disinvoltura con cui ha assunto una serie di ruoli diversi nell’era berlusconiana – portavoce, ministro, consigliere, direttore di un giornale di famiglia, candidato politico e conduttore di programmi televisivi. Giuliano contrasta il mio «puritanesimo noioso» con il suo neo-machiavellisimo vivace. Ma sbaglia se pensa che io sia un puritano o creda nella purezza di me stesso o di qualcun altro. E proprio perché credo che siamo tutti soggetti alle stesse tentazioni (soldi e potere) sostengo che abbiamo bisogno di regole come quelle del conflitto d’interessi. «Se fossimo degli angeli non avremmo bisogno di un governo», ha scritto James Madison, difendendo la costituzione americana, tutta basata sull’equilibrio dei poteri.


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