“Torno in trincea nell’ospedale di Lashkargah”

Loading

Sullo sfondo di tanto entusiasmo però, le domande sono sempre state molte. Non sono mai stato particolarmente coraggioso, ma sono sempre stato testardo per le cose a cui tengo. Qui però non si trattava di risalire in bicicletta dopo essere caduti ed essersi sbucciati un ginocchio. Qui c’era da dimostrare a me stesso che quello in cui credo, e che fa parte di questo meraviglioso lavoro, ormai è sedimentato dentro di me, è cemento. (…) Dopo cinque mesi passati in un lungo e profondo abbraccio da parte di tutte quelle persone che sono l’anima di questa associazione, mi ritrovo come sempre da solo all’aeroporto. E la paura comincia ad affacciarsi. Nella tasca sinistra del giubbotto mi sono portato la lettera, tradotta in dari e in inglese, con cui le autorità  afgane certificano la nostra totale innocenza ed estraneità  alle accuse di «terrorismo internazionale» che ci sono state rivolte contro. «Non si sa mai – penso – può sempre tornare utile». (…) E finalmente volo a Lashkargah. Rivedo, dall’aereo, quei colori pastello su uno sfondo sempre uguale, desertico. Scendo e mi sembra che tutti i poliziotti, in assetto da guerra, siano lì per me. «Ancora?». Invece incrocio la faccia amica di Antonio e di Salim, l’autista che era con noi il giorno dell’arresto e che immediatamente dopo è riuscito ad avvisare il nostro staff nella capitale. Sono ancora troppo teso per lasciarmi andare, mi impongo di fare come se nulla fosse, come se fossi tornato da una vacanza. Ma dentro di me sento un vulcano. Rimango molto colpito nel rivedere le autorità  per i saluti di cortesia: l’ultima volta, in tv, ci avevano accusato di voler uccidere il governatore della Provincia. Il capo dei servizi di sicurezza mi riceve nello stesso ufficio dove, il giorno dopo il nostro arresto, avevamo incontrato l’ambasciatore italiano, a turno, per brevi minuti. Mentre sono nella saletta d’attesa, tutte le guardie vengono a salutarmi. Quelle stesse guardie che ci hanno tenuto in custodia per ogni giorno della prigionia e che mi facevano una gran paura appena si avvicinavano. La casa e la mia stanza, che ho dovuto lasciare di corsa il giorno in cui è stata perquisita da trenta poliziotti, sono pulite e in ordine. La strada che da lì porta all’ospedale mi sembra eterna, ma capisco che sono io a rallentare a ogni angolo, a ogni curva, a ogni negozietto. Già  da lontano vedo la torre dell’acqua del nostro ospedale. Quando si aprono i cancelli, tra i sorrisi delle guardie, un enorme telo bianco davanti al pronto soccorso mi dà  il bentornato. Il giardiniere che «quel giorno» stava in ginocchio in giardino interrogato da persone armate, è uno dei primi a stringermi la mano. Vado quasi subito nel famoso magazzino dove si dice abbiano trovato le prove della nostra colpevolezza: è come se entrassi in casa mia dopo che sono passati i ladri. (…) Con la riapertura, nel nostro staff sanitario c’è stato un notevole ricambio di personale. Tra i nuovi, ci sono tanti giovani afgani arrivati senza alcun tipo di formazione medica. (…) Intanto, qui la guerra non è mai finita: bombardamenti in lontananza tutti i giorni, intere zone minate che provocheranno vittime civili per chissà  quanto tempo ancora. Le grandi operazioni militari si sono spostate più a nord. Per questo motivo molti pazienti non riescono a raggiungere il nostro centro chirurgico: troppe ore di strada e troppi pericoli. Mentre penso a tutto questo, il cancello si apre e arriva l’ennesima paziente. Il cuoco di casa, Ahmad Shah, mi stringe in un abbraccio che vale mille parole. Non ho mai avuto dubbi, sono solo caduto sbucciandomi un ginocchio. Può succedere.


Related Articles

Ger­ma­nia, le ragioni della svolta

Loading

nel sot­to­li­neare più volte il fatto che la Ger­ma­nia è un paese forte e sano, Angela Mer­kel lascia inten­dere che solo l’esercizio ordi­na­rio del rigore per­mette l’esercizio straor­di­na­rio della soli­da­rietà

Stranieri alla deriva senza voce né diritti l’ultima sfida dell’Occidente

Loading

I migranti sono la cicatrice più profonda della globalizzazione: non li trattiamo come cittadini e, alla fine, nemmeno come uomini

Israele attacca ancora in Siria, 23 morti in un raid

Loading

Le vittime in buona parte sarebbero consiglieri militari della Forza al Quds, l’unità di elite dei Pasdaran iraniani. Tra i morti anche due civili. Netanyahu flette i muscoli ma la Russia condanna il raid

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment