by Editore | 9 Aprile 2011 7:25
ROMA – Lo chiamano l’Untore. «È un omino, piccolo, tarchiatello, stempiato, che passa quasi tutte le mattine all’Ufficio Condono Edilizio del Comune di Roma. Accede senza problemi alle stanze off limits, gli basta fare il nome del dirigente P. ed entra. Posa la sua ventiquattrore sulla scrivania del tecnico o del funzionario di cui ha bisogno, la apre, lascia sul tavolo la mazzetta e un foglietto con scritto il numero della pratica da “ungere”, poi se ne va. L’ho visto io, con i miei occhi, decine e decine di volte». Scene di straordinaria quotidianeità , al comune di Roma. A raccontarle è il testimone V., un tecnico che per undici anni ha lavorato in uno dei punti chiave del “sistema condono edilizio” della Capitale. In questi giorni viene ascoltato dalla Guardia di Finanza, nell’ambito di un’indagine su alcuni accessi abusivi al sistema informatico dell’Ufficio Condono. Dopo un fiume di denunce ed email al sindaco Alemanno, V. ha deciso di raccontare tutto a Repubblica. Un racconto sconvolgente che parte da un’affermazione netta: «Il condono edilizio è la più grande tangente che sia mai stata pagata nel Lazio». La cupola e il tariffario «All’interno dell’Ufficio Condono Edilizio – dice – esiste un clan, una cupola composta da alcuni inamovibili funzionari comunali e da almeno sette dipendenti di Gemma». Gemma è la società pubblico/privata che ha gestito per conto del Campidoglio le pratiche del condono fino al giugno del 2010. «Il potere di dare o rifiutare una concessione è tutto nelle mani del clan che quindi gestisce la tangente». Una tangente anomala, che pur provenendo da mille diversi rivoli finisce per riempire sempre la stessa mano. Quella del clan. Il meccanismo è molto semplice. Il cittadino deve essere spremuto ad ogni passaggio, da quando presenta la sua pratica, «i dipendenti chiedono soldi anche solo per dare il numeretto dell’eliminacode, 50 euro l’uno», a quando porta a casa la benedetta concessione. Il problema con i condoni è sempre lo stesso: la gente pretende di mettere a posto opere che non si possono mettere a posto. Allora entra in ballo la cupola, che provvede a tutto. Basta pagare. Come in tutti i mercati organizzati, anche in questo racket esiste un tariffario. «La cifra varia a seconda dell’importanza dell’abuso e della “delicatezza” del luogo dove è stato costruito. Si va dai 5.000 ai 30.000 euro a condono, ma anche di più. Hanno offerto tangenti anche a me. Ho sempre rifiutato». Se invece la pratica è “buona”, cioè sanabile, allora la si fa rimbalzare da un ufficio all’altro di Gemma finché qualcuno del Comune si avvicina al cittadino esasperato e gli dice chiaro e tondo: «La sua è una pratica difficile, si rivolga a uno studio tecnico privato», e gli passa l’indirizzo giusto. Quello di una delle solite cinque o sei “Società di sviluppo immobiliare”, insomma geometri e architetti. Queste società nella migliore delle ipotesi sono “amiche” della cupola. Nella peggiore ne sono direttamente partecipate. L’Untore, per capirsi, lavora per una di queste. I sistemi Il pagamento della tangente è solo metà dell’opera. Perché poi bisogna saper aggiustare la pratica. E qui si entra nel campo dell’arte. In generale il sistema migliore è quello delle pratiche in bianco, buono per tutti gli abusi. «Negli ultimi giorni utili per presentare le domande, il dirigente G. si era inventato di “protocollare” alcune pratiche in bianco». Cioè dei fogli bianchi col timbro certificato del Comune ai quali aggiungere successivamente i dettagli dell’abuso. In teoria si potrebbe costruire una villa in un parco domani mattina e farla apparire condonata nel 2004. «Ancora oggi esiste un mercato di queste pratiche “pre datate”. Costano 50mila euro l’una. Una notte, sotto i miei occhi ne vennero fabbricate 500». Ma i sistemi sono anche più brutali. «Ho trovato pratiche con modelli “sbianchettati”, nei quali erano state diminuite le metrature reali dell’abuso per rientrare nella sanatoria. Così si condona un appartamento di 200 metri quadrati facendolo passare per una verandina. Si possono sanare – con l’inganno – anche i “palazzi fantasma”: si presenta una domanda di un abuso mai fatto corredata da una foto ad un palazzo qualunque, modificato con Photoshop, la si inoltra prima dello scadere del condono, e poi si costruisce dopo. Altre volte vengono aggiunti dei documenti nei fascicoli e, siccome non sono protocollati, gli impiegati se li passano al bar o dalle finestre». I documenti e le prove Il racconto di V. si fa forte di molte prove documentali. C’è la mail di un dipendente comunale che suggerisce al cittadino il solito studio tecnico privato “vista la situazione un po’ burrascosa dell’ufficio”. C’è la visura camerale dello Studio Tecnico S. che “incastra” un funzionario dell’Ufficio Condono: ne è il diretto proprietario. Uno di quelli col doppio lavoro. La sera in qualità di tecnici privati prendono i soldi della tangente, il giorno dopo come dipendenti comunali portano avanti la pratica. Ci sono alcuni esemplari dei suddetti modelli in bianco protocollati. Ci sono certificati di pagamento effettuati all’apparenza senza motivo, come quei 2.160.000 lire segnati su una pratica del 1986, una sorta di Gronchi rosa delle tangenti. E poi ci sono i bollettini di pagamento contraffatti, campi sportivi che cambiano dal nulla la destinazione d’uso e diventano parcheggi. Ci sono i documenti che testimoniano la pressione della direzione dell’Ufficio Condono per modificare la domanda per uno stabile di 3000 mq di una grossa società , scavalcando tutte le procedure. «La corruzione in quegli uffici c’è dal 1995 ma ultimamente è diventata sempre più diffusa. E quanto al sindaco Alemanno, beh, è a conoscenza che ci siano pratiche manomesse e irregolari. Gemma gliel’ha scritto in più di una lettera».
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/04/qtangenti-per-sanare-gli-abusi-edilizi-a-romaq/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.