“Sei piduista”. “Non ci processano in piazza” lo scontro tra Bindi e Cicchitto infiamma l’aula
ROMA – È fatta, è andata. La maggioranza di governo offre al suo Signore e Padrone quel che gli serve. Finale già scritto. L’ultimo fotogramma è l’immagine dell’opposizione in piedi: con una mano votano contro quella che Piero Fassino definisce «una legge devastante, un favore ai delinquenti», con l’altra stringono la Costituzione. I dipietristi sventolano i cartelli con tutti i processi a rischio. Fuori dal Palazzo risuona l’inno d’Italia cantato nella piazza. Giornata livida, amara, attraversata da rancori destinati a non ricomporsi, tanto è eticamente dirimente la scelta consumata. Quando Fabrizio Cicchitto, tessera 2232, inizia a parlare per le dichiarazioni di voto, esplode l’urlo dai banchi del Pd e dell’Italia dei Valori: «P2! P2!». Dovrebbe essere un’ultima vampata ma non è così. In un’appendice post voto, e senza diretta televisiva, va persino peggio. C’è chi ha notato Rosy Bindi tra quelli che hanno dato del piduista al capogruppo berlusconiano. Cicchitto, nel suo intervento, aveva citato Moro, il caso Lockeed, quel suo «Non ci faremo processare nelle piazze». Lei, vicepresidente della Camera, ha contestato il capogruppo Pdl. Alle nove della sera, il deputato Paolo Sisto e il ministro Fitto la accusano di «non dare esempio di terzietà ». Bindi, che nel frattempo ha di nuovo sostituito Fini, risponde per le rime dallo scranno più alto: «Leggo la biografia di Cicchitto da Wikipedia. Non è degno di citare Aldo Moro. Nessuno se ne può appropriare in maniera strumentale e indegna tantomeno se nel 1980 era iscritto alla P2». Sbanda l’emiciclo fedele al premier. È la sorpresa finale. Stracquadanio urla rabbioso che non si sente «garantito» mentre Verdini, dall’alto delle sue grane giudiziarie, intima paterno: «Onorevole Bindi, dica che ha sbagliato. Succede… ponga fine a questo incidente». Sfuma così, verso la notte, il tour de force parlamentare, pagina buia della storia della Seconda Repubblica. Bindi è stanca, amareggiata: «Avevo chiesto, per poter rispondere alle accuse, di essere sostituita alla presidenza ma non c’era nessuno disponibile. Non ho mai detto che Cicchitto è indegno. Ribadisco, però, che ognuno ha il suo percorso storico…». Incidente chiuso? Lucio Barani (Pdl) dice di no: «Rosy Bindi è una persona brutta dentro. E ha perso la testa anche Chiara Moroni, che sta dalla parte dei carnefici di suo padre» (Per inciso, Moroni era intervenuta in aula per difendere le vittime di Mani Pulite da ogni tipo di strumentalizzazione). Questo il clima. Meglio di tutti dà il senso del degrado raggiunto lo scambio tra Scilipoti e il suo ex partito, l’Italia dei Valori. Ogni volta che, nel corso della giornata, viene pronunciato il nome di Scilipoti, i suoi ex compagni intonano forte: «Munnizza! Munnizza!». Quelli di Fli si occupano invece della “traditrice” Maria Grazia Siliquini, tornata nel Pdl e diventata pezzo grosso delle Poste Italiane. Appena la vedono, parte un grido stridulo a più voci, regista Roberto Menia: «Siliquini, Siliquini, c’è posta per te». Non c’è più niente da fare, lo sanno tutti. La prescrizione breve salva-premier passerà . E allora si trascorre il tempo tra grida a Di Pietro e fischi ai Responsabili. Anche lo scrutinio segreto certifica l’ineluttabilità del tutto, addirittura aumentando i voti della maggioranza. Sei deputati che votano pro-Berlusconi. Si guarda a Fli, si sussurra addirittura del Pd ma Franceschini assicura: «Ci metto le mani sul fuoco». Mai visto un governo più attento e presente: tutti ai loro posti, con uno stakanovismo degno di miglior causa. E le donne ministro vincono la palma della resistenza: Brambilla, Gelmini, Prestigiacomo, Carfagna, sono incatenate alla poltrona, vestali del premier. Ghedini, Brancher, Cosentino formano, dai banchi, un trio attentissimo, sempre scattanti a schiacciare il pulsante. Fini presiede poco, si amministra per il finale. Anche se, di primo mattino, gli capita di venir insultato a sorpresa dal Pd Roberto Giachetti, infastidito dal suo modo di procedere: «Lei è il peggior presidente di sempre per l’opposizione!». Bersani non gradisce, dietrofront a fine giornata della pecora nera. Dalla mattina alla sera si va avanti senza troppe scosse, «la maggioranza manettara con i poveracci», come la definisce Della Vedova, si lascia anche strigliare da Casini che prevede difficoltà del testo salva-premier in sede di «verifiche istituzionali». Tanto l’importante è incassare il risultato. L’incendio divampa la sera, a giochi fatti. Ne fa le spese Rosy Bindi che dà del piduista a Cicchitto, violando le strane regole del bon ton berlusconiano: «Ho detto semplicemente la verità »
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I PROPRIETARI DEL MOVIMENTO
«UNO vale uno». Milioni di italiani si sono rivolti al movimento Cinque Stelle per questo slogan, perché da anni trovano chiuse le porte dei vecchi partiti, occupati da irremovibili burocrazie. Beppe Grillo prometteva e ancora promette democrazia dal basso, candidati presi dalla strada, valutati sulla base delle competenze e sottoposti al consenso della base, nella fedeltà assoluta al principio sacro: «uno vale uno».