by Editore | 16 Aprile 2011 6:52
IL CAIRO – «L’arresto di Mubarak era un’ossessione nazionale, perché nessuno tollerava più l’idea che finisse i suoi giorni nella sua splendida villa di Sharm», spiega Mohamed El Baradei, probabile candidato alle prossime presidenziali e vincitore del Nobel per la Pace nel 2005, che gli fu assegnato quando dirigeva l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. «Oggi, gli egiziani temono un ritorno al passato, perciò sono di nuovo arrabbiati e pronti a scendere un’altra volta in piazza», dice ancora El Baradei, che ci riceve nella sua casa in periferia del Cairo, circondata da palme e oleandri già in fiore. A giorni uscirà anche in Italia il suo L’età dell’inganno (Castelvecchi), in cui racconta le sue battaglie diplomatiche più aspre, tra cui spicca quella in cui lottò strenuamente, sia pure invano, contro l’invasione dell’Iraq. Signor El Baradei, c’è chi sostiene che senza gli arresti di Hosni Mubarak e dei suoi due figli in Egitto sarebbe scoppiata una nuova rivoluzione. E’ così? «Mubarak avrebbero dovuto arrestarlo due mesi fa, e con lui i trecento sudditi che facevano parte della sua corte. In queste settimane ha avuto il tempo di ripulire molti dei suoi conti nelle banche di tutto il pianeta. Detto questo, lui avrebbe fatto meglio a scappare, come ha fatto Ben Ali dalla Tunisia, perché adesso che la procura ha cominciato a spulciare tra le sue carte per l’ex presidente sarà davvero difficile lasciare il Paese». Quanto sta accadendo sembra il coronamento della richiesta avanzata venerdì scorso da centinaia di migliaia di persone che a piazza Tahrir hanno invocato un rapido processo per i vertici del vecchio regime. «Sì, c’è stata una forte pressione da parte della piazza, anche perché cominciava a girare una voce secondo cui Mubarak aveva fatto un patto con i militari: lui avrebbe lasciato il potere nelle loro mani, a condizione di non essere processato. Il suo arresto era perciò diventato un’emergenza». Quali sono i rischi che faccia la fine di Saddam Hussein? «Gli egiziani sono un popolo moderato, ma ovviamente dipenderà tutto dal verdetto del tribunale che lo giudicherà . Ora, le accuse che pesano su Mubarak sono molto gravi. Secondo la Procura sarebbe stato lui a ordinare alle truppe di sparare contro la folla. Soltanto la sua l’età e il fatto che è un uomo malato potranno salvarlo da una condanna troppo dura». Da più parti si levano voci di scontento. C’è chi sostiene che la rivoluzione sia stata tradita: pochi giorni fa un blogger è stato condannato a tre anni per aver offeso l’esercito. Che cosa potete fare per raggiungere gli obiettivi della rivolta? «Stiamo vivendo il delicato momento della transizione. Da una parte c’è l’esercito che vuole accelerare i tempi, dall’altra c’è chi, come me, crede che sia necessario procedere lentamente. Dopo 60 anni di dittatura, perché tanti ne sono passati durante i regimi di Nasser, Sadat e Mubarak, non si può in pochi mesi trasformare il Paese in una democrazia compiuta. Avrei, per esempio, preferito che ci dotassimo di una nuova Costituzione prima di elezioni che i diversi partiti avranno poco tempo per organizzare. I favoriti saranno i più ricchi e i meglio strutturati, come i Fratelli musulmani. Credo invece che il potere vada spartito anche con chi ha fatto la rivoluzione». I militari continuano a governare l’Egitto. Sarà sempre così? «Dopo quanto è accaduto mi sembra impossibile il ritorno al potere di un generale. Gli egiziani vogliono facce nuove». A proposito, quando romperà la riserva sulla sua candidatura alle prossime presidenziali? «Se mi dovessi candidare lo farei solo per i giovani con i quali ho lavorato in questi mesi e che mi chiedono di aiutarli a ricostruire l’Egitto». Secondo alcuni analisti le rivolte segnano anche la sconfitta dell’estremismo islamico, perché si è visto che è possibile abbattere regimi corrotti e sostenuti da un Occidente compiacente anche senza ricorrere al terrorismo. E’ d’accordo? «Sì, anche perché la Storia dimostra che la forza di un popolo è spesso inarrestabile. Basti vedere quanto è accaduto in Egitto e in Tunisia. In piazza Tahrir, i manifestanti dicevano “sono egiziano”, e non “sono musulmano”. Ma con le bombe e con il terrorismo è diverso. Le Brigate rosse hanno fallito in Italia, così come ha fallito Al Qaeda in diversi Paesi arabi. Ma l’estremismo nasce dallo sfruttamento e dalla perdita di dignità . Spero ora che l’Occidente ci aiuti. Per evitare che la primavera araba non si trasformi in uno tsunami arabo».
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