“L’America ha le spalle larghe saprà  reagire all’allarme debito”

by Editore | 22 Aprile 2011 7:02

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ROMA – «L’allarme di Standard & Poor’s sul debito Usa non deve indurre a conclusioni precipitose: si è parlato di una possibile rivolta dei mercati finanziari contro gli Stati Uniti, ma non è verosimile. Non c’è sul pianeta destinazione più sicura per i patrimoni che l’America, e qualsiasi eventuale impatto negativo sui mercati sarà  transitorio». Nouriel Roubini ha assistito attonito al roadshow televisivo del ministro Geithner per rassicurare i cittadini e scende in campo nell’inusuale veste di difensore dell’America: «Il Paese è sopravvissuto a guerre mondiali e locali, a depressioni e crisi spaventose, senza mai avviare misure drammatiche né redistribuzioni arbitrarie o distruzioni di ricchezza, né cadere nell’iperinflazione. E senza modificare la propria forma di governo democratica, una delle più antiche del mondo». L’economista che il 7 settembre 2006 gelò l’assise dell’Fmi prevedendo una crisi «come se ne vedono una volta nella vita» causata proprio dall’America con i suoi eccessi immobiliari e finanziari, getta adesso acqua sul fuoco. Lei ha sostenuto la politica keynesiana dell’amministrazione, non crede che ci sia da pagare il conto? «Per tagliare il deficit che provoca il debito serve uno sforzo di leadership di Obama e di volontà  condivisa del Congresso. Il presidente è prudente nel tagliare previdenza e sanità  e cerca, ricorrendo perfino ai social network, di far passare il messaggio che bisogna alzare le tasse. I repubblicani sono chiusi su questo fronte. Servono entrambi gli interventi: tagliare le spese, salite in tre anni dal 20 al 25% del Pil, ma con un debito di 14mila miliardi anche aumentare le entrate, scese dal 20 al 15, tassando non solo le società  e i ricchi come vuole Obama, bensì la middle class». Come accoglieranno gli americani quest’idea? «Serve cautela per non reinnescare la recessione ma se oggi la scommessa nella fiducia dei mercati per rifinanziarsi è a vincita certa, non sarà  così in eterno. Vanno cercate risorse in imposte indirette come l’Iva, la tassa sulle vendite, la carbon tax, i prelievi sulla benzina». L’Economist scrive che S&P’s ha annunciato con gran fanfara quello che era ovvio per i mercati da mesi. Niente di nuovo? «Da un anno avvertivo che si avvicinava il livello di guardia. Però l’America paradossalmente trae beneficio dall’idiosincrasia verso il rischio che si sta diffondendo appunto perché resta il posto più affidabile: il mercato dei bond si riprenderà  presto e i tassi scenderanno. Andrà  trovato un equilibrio con i tassi della Fed, che Bernanke rialzerà  fra breve, su livelli più alti degli attuali perché l’inflazione è spinta dalle materie prime. La crisi del 2008 partì non solo da Lehman ma dal greggio a 150 dollari». Perfino i cinesi sono venuti a farvi lezioni di economia… «Farebbero bene a guardarsi in casa: avendo ritardato ad alzare i tassi saranno costretti a manovre brutali che incideranno sulla crescita. Quanto al sistema americano, la finanza pubblica, a differenza degli altri paesi industrializzati, è gestibile: non è impossibile restaurare l’equilibrio in breve senza traumatici aggiustamenti fiscali né pesanti conseguenze. Sul lungo termine occorre qualcosa di più strutturale per i crescenti impegni di sicurezza sociale. Ora è urgente trovare un compromesso al Congresso fra le proposte di Obama, la Simpson-Bowles, il Ryan Plan dei repubblicani, il piano bipartisan della Gang of Six…Bisogna ridurre il deficit di 4-5mila miliardi in dieci anni: l’importante è fare qualcosa subito senza aspettare le presidenziali del 2012».

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