“La società  civile torni in campo o sarà  complice dello sfascio”

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Venerdì a Napoli al congresso del sindacato di Polizia ha fatto un altro passo in avanti. Per il prossimo – probabilmente – bisognerà  aspettare le elezioni politiche, quando ci saranno. «Ci vuole un ricambio», ripete guardando al bilancio «disastroso» della seconda Repubblica, quella nata proprio sotto la spinta di un nuovo protagonismo della società  civile, contro Tangentopoli, contro la corruzione, le clientele. Contro la partitocrazia. E’ da lì che si deve ripartire perché con questo governo Berlusconi «la società  civile è sparita», diventata «suddita». Sostiene Montezemolo: «Assistiamo a un indecoroso e inaccettabile disfacimento del senso delle istituzioni e della responsabilità  pubblica. Il tutto accompagnato dal silenzio assordante della società  civile, delle associazioni di rappresentanza e della classe dirigente del paese, che rischia di diventare complice del degrado». E’ il sostanziale silenzio della Confindustria, delle grandi banche, degli intellettuali, degli imprenditori di peso, delle stesse fondazioni bancarie, ricche e potenti. Dalla retorica della società  civile al disimpegno. E’ la grande ritirata della società  civile, appunto, dalla scena della politica. Con praterie sconfinate a vantaggio dei politici di professione. Quelli che ormai – secondo Montezemolo – non rendono più conto delle proprie scelte: non nell’economia, non nei temi istituzionali, non nella politica estera. Irresponsabili. «Non ci sono più argini se non quello del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano», dice Montezemolo. Anche se qualche segnale positivo qua e là  è affiorato. Il presidente della Ferrari pensa alla manifestazione delle donne del 13 febbraio scorso, alle proteste del mondo della cultura contro i tagli lineari decisi dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, alla “rivolta” di Diego Della Valle contro le vecchie pratiche che governano pezzi del nostro asfittico capitalismo finanziario, infine al marchionnismo. Ma certo c’è da domandarsi il perché del silenzio dei ceti dirigenti. Italia Futura, la fondazione di Montezemolo, è nata anche per ridare ruolo alla società  civile, per ritrovare spazi di discussione, per avanzare proposte come fanno da sempre i think tank nelle democrazie anglosassoni senza contrapposizioni con i partiti perché le reciproche funzioni sono distinte. E i collaboratori di Montezemolo che lavorano nella Fondazione dicono che è la «paura» il motivo del grande silenzio. Paura di finire nella “macchina del fango”. «Il caso Fini – spiegano – è emblematico. Un modo in cui il potere ha voluto manifestare la sua faccia feroce». Paura, probabilmente, che paralizza le associazioni di rappresentanza (Confindustria in testa) di fronte al dilagare dell’interventismo del governo nell’economia. «Assistiamo al ritorno di un’influenza fortissima del governo nell’economia, mentre è calato il livello dell’indipendenza. Vale per le banche, come per le fondazioni stesse. Eppure avrebbero dovuto svolgere un’azione di compensazione rispetto allo strapotere di un presidente del Consiglio che controlla quote significative dei mezzi di comunicazione di massa». Di anomalia in anomalia. Come quella di un governo «sedicente liberale» che ha cancellato molte delle liberalizzazioni fatte, che ripropone le tariffe minime e fa scrivere le riforme alle corporazioni delle professioni. Montezemolo riflette sul caso Parmalat, sul ritorno dell’Iri attraverso lo snaturamento della Cassa depositi e prestiti che vuole e che celebra Tremonti da Cernobbio. Eppure di fronte allo «yogurt diventato uno strategico interesse nazionale» dal mondo dell’economia non si è praticamente alzata una voce critica. E’ anche questa quella sorta «complicità  con un blocco di potere conservatore, nel senso etimologico del termine, che rende silenti le elite italiane». Ma nello stesso tempo è «la sottomissione della società  civile». A Italia Futura la chiamano la «nuova monocrazia»: non si decide in base alle esigenze delle imprese bensì in base alle esigenze del governo, o addirittura del ministro Tremonti. Colpa anche dell’Europa che sembra aver esaurito la sua spinta modernizzatrice. «Così – afferma l’ex presidente della Confindustria – mai come ora gli imprenditori che esportano si sono sentiti soli». Anche per questo gli argini non possono essere solo quelli di Napolitano e del cardinal Bagnasco. Serve la società  civile.


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