“In tanti lo hanno già  capito in fonderia pur di avere un posto”

by Editore | 18 Aprile 2011 7:02

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ROMA – «Le osservazioni del ministro Tremonti mi sembrano un po’ datate. La crisi, infatti, ha cambiato le cose perché ora i giovani italiani, ma non solo, bussano, eccome, alla porta della mia azienda». L’azienda di Fabio Petri, quarantanovenne di Poggibonsi, provincia di Siena, non è affatto un posto di lavoro tranquillo. È una fonderia, non quelle di fine Ottocento – è ovvio – ma pur sempre una fonderia, con turni 24 ore su 24 dal lunedì al sabato mattina, fumi, temperature altissime fino a 1.100 gradi nei forni. Una trentina di lavoratori per produrre stampi in materiali non ferrosi (bronzo, alluminio, ottone) per l’industria del vetro, per quella navale e per la meccanica. Tipico made in Italy metalmeccanico a forte valore aggiunto e, nel dopo crisi, ad alto tasso di esportazione. Racconta Petri, che insieme ai cugini guida ormai da più di venticinque anni l’azienda familiare fondata mezzo secolo fa dal padre e dallo zio: «Fino al 2008 era tutt’altro che semplice trovare la manodopera. Un lavoro in fonderia era l’ultimo che si andava a cercare. Prima venivano i posti davanti a una scrivania anche se retribuiti peggio. E posso anche capirlo perché al di là  della grande evoluzione tecnologica – i nostri forni, ad esempio, sono a induzione cioè a elettricità  e non più a gasolio – la fonderia evoca già  nel nome la fatica, il sudore, scenari di epoche passate. Avevamo molte difficoltà  a reperire operai. Gli italiani non venivano e allora ci siamo rivolti agli extracomunitari: abbiamo assunto diversi senegalesi, e alcuni nigeriani e ucraini. Nessuno con qualifiche, tutti operai generici con bassa professionalità . Contratti all’inizio di tre, quattro mesi, poi trasformati in contratti a tempo indeterminato. Nel nostro settore – continua Petri – abbiamo bisogno di stabilità  non possiamo cambiare in continuazione. Gli operai sono una risorsa su cui investiamo. Insegniamo loro un mestiere e per noi diventa fondamentale la continuità ». Lavoro faticoso, ma standard. Nemmeno l’ombra della precarietà . Il vecchio lavoro a tempo indeterminato, insomma, tutelato, sindacalizzato, e retribuito non male rispetto alla media dato che un operaio ai livelli più bassi porta a casa intorno a 1.100-1.200 euro netti al mese, cifra che arriva sui 2.000 euro per i quadri. La Grande Recessione, iniziata nel 2008 per colpa della droga dei titoli tossici made in Usa propagati in tutto il mondo, ha mutato le prospettive. Le “Fonderie Bartalesi” di Poggibonsi hanno dovuto cambiare mercati di sbocco. E anche questa è una tipica trasformazione in atto in questa fase nel sistema industriale italiano, vale per le grandi ma anche per le piccole imprese. Alla Bartalesi hanno ridotto il fatturato destinato al mercato domestico, dove la domanda permane troppo bassa per garantire la vita di molte aziende, e hanno rinforzato le quote sui mercati mondiali. «Se prima il 65 per cento del fatturato andava in Italia, ora al mercato interno non va una quota superiore al 20 per cento». La fonderia ha conquistato clienti in tutti i paesi europei, dall’area continentale a quella dei nuovi paesi dell’est ex filo-sovietici, e tenta di entrare in America Latina. E i lavoratori italiani sono tornati in fonderia, senza più scappare dal lavoro manuale. «Stanno tornando praticamente dal 2009, subito dopo le prime conseguenze della recessione. Da noi come dalle altre aziende della zona. Ci sono i giovani che accettano il lavoro manuale faticoso, ma pure i lavoratori più maturi over 40 che sono in cassa integrazione, oppure in mobilità , oppure che cercano un altro lavoro più sicuro di quello che hanno. C’è un’inversione di tendenza. Quello di Tremonti mi pare uno stereotipo superato dai fatti. Perché la gente, giovani e non, da noi, e penso dovunque, è capace di rimboccarsi le maniche quando serve».

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