“Consulta, via il potere di bocciare le leggi”

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ROMA – Sotto Pasqua, e nel silenzio delle feste, fioriscono le proposte del Pdl per scardinare il bilanciamento tra i poteri dello Stato. Questa volta è l’azzurro Raffaello Vignali a prendere carta e penna e scrivere una legge che in un sol colpo cancella i poteri della Corte costituzionale: quando indicherà  che una norma è incostituzionale – scrive il deputato bolognese vicino a Cl – la Consulta non avrà  più la facoltà  di abrogarla. L’ultima parola, è l’inevitabile corollario, dovrà  essere dall’unico organo investito della sovranità  popolare, ovvero il Parlamento. Una legge che richiama le battaglie con la Consulta sulle leggi ad personam per il premier Berlusconi e che fa il bis con quella di Remigio Ceroni, sconosciuto deputato del Pdl uscito dall’ombra con una proposta per modificare l’articolo 1 della Costituzione in modo da porre il Parlamento, e con esso la sua maggioranza, al di sopra di tutti gli altri organi dello Stato, a partire proprio dalla Consulta e del Quirinale. Anche Vignali dichiara di ispirare la sua legge al pensiero della Costituente. L’attacco all’articolo 136 della Costituzione – che prevede appunto che una legge dichiarata incostituzionale decada dal giorno successivo – lo giustifica affermando che oggi «ci troviamo in presenza di una Corte costituzionale che potrebbe realizzare quella “eccessiva ingerenza politica del giudice”» temuta da alcuni padri costituenti. Ma per fortuna la soluzione è a portata di mano: depotenziare l’intervento della Consulta limitando il suo controllo ad una funzione «meramente dichiarativa» dell’illegittimità  costituzionale di una norma. Che quindi non sarà  abrogata, ma tornerà  in Parlamento che potrà  modificarla su indicazione del governo. Intanto il Pdl continua ad essere agitato dalle polemiche. A far parlare è l’ultimo caso, l’attacco frontale di Galan a Tremonti. Ieri il capogruppo Cicchitto ha sottolineato la necessità  di essere «solidali» all’interno del partito difendendo indirettamente Tremonti («il governo ha superato la crisi economica»). «Adesso però – è la postilla velenosa – bisogna fare di tutto per aprire una nuova fase che contenga gli elementi di crescita possibili e realistici». Insomma, l’inquilino del Tesoro (difeso con più convinzione da Alemanno e Gelmini) deve cambiare registro. Per il segretario democratico Bersani è tutta «strategia»: «Parlano d’altro per non parlare dei problemi. Ora dicono di voler cambiare la Costituzione per nascondere come la manovra di Tremonti ammonti a ben 39 miliardi». Continua a far parlare di sé anche Domenico Scilipoti, il parlamentare simbolo dei Responsabili, il gruppo nato in fretta e furia a dicembre per salvare il premier dalla sfiducia alla Camera. Nella prefazione del suo libro “Scilipoti re dei peones” Berlusconi scrive che è «vittima della collaudatissima macchina del fango dei professionisti della disinformazione al servizio di una sola fazione politica». Ma i peones che non mollano: il capogruppo dei Responsabili, Luciano Sardelli, ieri ha presentato una proposta di legge per inserire nei simboli nazionali dei partiti anche quelli territoriali che rispecchino «realtà  e movimenti locali» con l’obiettivo di «dare visibilità  alle realtà  culturali e territoriali». In pratica si punta a inserire altri tre contrassegni nei simboli elettorali. Per il Terzo polo è solo un mezzo del premier per inventare liste patacca in grado di confondere gli elettori e boicottare l’alleanza Fini-Casini-Rutelli.


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