“Col processo Lincoln racconto un caso di giustizia tradita”

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LOS ANGELES – Robert Redford deve aver scelto con cura la data di uscita della sua nuova regia, The Conspirator: il film uscirà  nei cinema Usa venerdì, proprio il giorno del 150mo anniversario dell’inizio della Guerra Civile americana e del 144mo dell’assassinio del presidente Abramo Lincoln (colpito dalla pistola del fanatico «confederato» John Wilkes Booth il 15 aprile 1865, al Ford Theatre di Washington). The Conspirator parte proprio dall’omicidio di Lincoln, apre con rapidi accenni alla Guerra civile e allo storico delitto, per poi concentrarsi sul suo vero soggetto: il processo intentato contro Mary Surratt (Robin Wright nel film), proprietaria di una pensione a Washington, accusata di aver partecipato al complotto per uccidere Lincoln. Lei nega ogni accusa: le viene affidato un avvocato, Frederick Aiken (James McAvoy), il quale, ex soldato nordista accetta l’incarico. Ne scaturisce un tesissimo dramma giudiziario che ricorda il celebre La parola ai giurati di Sidney Lumet. Redford ha realizzato il film con un risicato budget di soli 15 milioni di dollari, ottenuti tramite l’American Film Co., da vero cineasta indipendente. Dopo aver fatto il giro di vari festival, la Focus Features ne ha finalmente acquistato i diritti per la distribuzione cinematografica. «Ma ce n’è voluta… « sospira il patron del festival di Sundance, un tempo divo assoluto del cinema. «Mi attraggono sempre le storie di cui in genere si sa poco, specie quelle che si nascondono dietro fatti più grandi di cui invece tutti sanno» continua Redford «Le figure di Mary Surratt e Frederick Aiken, di cui io stesso sapevo poco prima di mettermi a studiare per il film, mi hanno coinvolto, sedotto e trascinato in un’intrigante esplorazione non solo della teoria del complotto sulla fine di Lincoln, sostenuta oramai dalla maggior parte degli storici, ma anche della tensione all’epoca tra sicurezza e giustizia, tra la fretta di trovare e giustiziare i colpevoli e il diritto di ogni imputato a un equo processo. Temi che se non erro risuonano con un certo fragore oggi, qui in America». Nel film, girato in gran parte nella storica Savannah, in Georgia (a far da controfigura alla Washington di metà  â€˜800), una città  la cui architettura urbana è stata mantenuta come nessun altro centro in Usa, appaiono anche Kevin Kline, nel ruolo del Ministro della Guerra Edwin Stanton, che a distanza presiede il processo contro la Surratt, Colm Meaney (il Generale David Hunter, presidente del tribunale militare che processò la Surratt) e Danny Houston (il Generale Joseph Holt, pubblico ministero). C’è già  chi sospetta che The Conspirator, dietro la ricostruzione di un capitolo poco conosciuto della storia americana, intenda in realtà  puntare l’indice contro i tribunali militari di oggi e contro abnormità  giuridiche come Guantanamo. Un film insomma che ritrae un’America fragile e polarizzata, oggi come allora, un paese che rischia di sacrificare la giustizia sull’altare della vendetta. Redford respinge qualsiasi sospetto. «Ovvio che i paralleli con l’attualità  esistono e sapevo che questo avrebbe potuto essere pericoloso per me, perché la gente mi vede come un liberal e potrebbe incasellare me e il film come una cosa di parte» dice «Il film narra una vicenda umana e personale, punto e basta. Io non credo che i film politici che ho fatto siano di destra o di sinistra, ma sono critiche del processo politico in sé. Queste analisi le lascio fare al pubblico, ai critici, a chiunque lo vada a vedere. Un cineasta, nel momento in cui espone la sua opera sul mercato, deve ritirarsi in buon ordine, e lasciare che ognuno la interpreti come vuole. E magari poi litighino».


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