“Che il suo corpo non passi per Israele lui non lo vorrebbe”
L’ultima polemica investe Vittorio Arrigoni da morto. «Speriamo possa tornare dall’Egitto e non da Israele. Mai e poi mai avrebbe voluto passare da lì», ha detto Silvia Todeschini, l’amica che lavorava con lui all’International Solidarity Movement (Ism). Dalle autorità della Striscia, da quelle italiane e israeliane non ci sono notizie, ma la tensione fa capire subito qual era la posizione dell’italiano nel vasto panorama del volontariato a Gaza: non un cooperante vero e proprio ma un testimone, con un chiaro pensiero politico da manifestare. Le sue idee verso Israele erano trasparenti: per lui lo Stato ebraico era un Paese occupante che riduce i palestinesi a una vita senza diritti. Arrigoni non si nascondeva, per questo era spesso oggetto di accuse di antisemitismo: su Facebook c’era una pagina (chiusa ieri) in cui era accusato di essere fiancheggiatore di Hamas. Del resto l’Ism ha una chiara impostazione politica: tanto che ieri l’Associazione di solidarietà con il popolo palestinese (Abspp) – con Ism organizzatrice della Freedom Flottilla – ha adombrato l’ipotesi che dietro alla morte ci possa essere Israele, desideroso di fermare la prossima spedizione. Angela Lano, che come Arrigoni aveva viaggiato sulle imbarcazioni, non rinnega il pensiero dell’amico. «Vittorio denunciava gli orrori a cui assisteva – spiega – essere anti-sionisti non significa essere anti-semiti». Sulla stessa linea, le parole della madre di Vittorio, Egidia Beretta, sindaco di Bulciago: «Non ha mai frequentato i potenti, né i palazzi di Hamas. Ero molto orgogliosa di lui. Gli chiedevo sempre “come fai a dire di restare umani anche nei momenti più difficili?”». Umano, Arrigoni lo era di certo: come tutti i cooperanti che lavorano nella Striscia, una galassia fatta di volontari delle Nazioni Unite, cooperanti cristiani, laici e musulmani. Qualche centinaio di persone in tutto: da ieri all’appello mancano gli italiani. La ventina di organizzazioni italiane nella Striscia ha scelto di far uscire per qualche giorno i dipendenti seguendo l’invito del Consolato. Se fare cooperazione in Medio Oriente non è mai facile, nei Territori Palestinesi e a Gaza è ancora più complicato: ogni passo offre il fianco ad accuse. Lo sanno bene i funzionari Onu, accusati di volta in volta da Hamas di farsi portatori di usi e valori anti-Islamici e da Israele di lavorare per i militanti islamici. E lo sanno ancor meglio i cooperanti che lavorano senza lo scudo protettivo del passaporto blu del Palazzo di vetro: «Lavoriamo a Gaza perché per natura nella cooperazione si lavora con chi è oppresso. Non facciamo politica: ma stiamo dalla parte dei deboli di fronte ai forti – spiega Piera Redaelli, responsabile Terres des Hommes in Medio Oriente -; la differenza fra noi e Vittorio è che noi a un certo punto dobbiamo scegliere se fare le cose che servono alla gente o fare denuncia. Lui diceva le cose». Alla stessa maniera, il laico Arrigoni è stato ricordato dai religiosi di Pax Christi, e da molte altre associazioni ieri. Oggi chi lavora con obiettivi simili ai suoi si augura che, oltre al dolore e al vuoto, la sua morte non provochi anche un taglio degli aiuti italiani: «La popolazione, stremata e assediata, ha vitale bisogno di sostegno», conclude Redaelli. (ha collaborato Massimo Pisa)
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