“Barche di aiuti nel nome di Vik” torna in mare la Freedom Flotilla
Perché quello che era il suo mantra, la sua firma in calce ad ogni messaggio del suo blog, sarà il nome della prossima Fredoom Flotilla: “Stay Human”. L’invito a se stesso e agli altri a “restare umani” lanciato da Arrigoni era nato dopo essere arrivato a Gaza nel 2008 proprio a bordo di una delle prime imbarcazioni del Freedom Gaza Movement: barche dirette verso le coste palestinesi per protesta contro il blocco navale imposto da Israele al milione e mezzo di abitanti della Striscia. Arrigoni era stato uno dei primi 44 attivisti a intraprendere la missione e anche per questo il Coordinamento nazionale della Freedom Flotilla 2 ha deciso di rendergli omaggio: sul suo sito ha annunciato che la missione umanitaria «tornerà a Gaza in suo onore». «Vittorio era un emblema della flottiglia e le adesioni sono aumentate anche grazie al suo attivisimo», spiega la giornalista Angela Lano, dell’ufficio stampa di Freedom Flotilla nonché direttrice del sito di notizie palestinesi Infopal. La partenza è prevista a fine maggio. Una data precisa ancora non c’è, anche perché, dicono gli organizzatori, la coalizione che costituisce il movimento continua ad ampliarsi e si cercano nuove imbarcazioni. Ad oggi i Paesi partecipanti sono 50, le imbarcazioni previste 12: un migliaio tra attivisti, cooperanti, giornalisti e cittadini salperanno da diversi porti del mondo per ritrovarsi in acque internazionali e dirigersi alla volta di Gaza per consegnare carrozzine per disabili, desalinizzatori, medicinali, kit scolastici e altro materiale umanitario. Lo scorso anno la spedizione, che Israele accusò di trasportare armi dirette ai miliziani di Hamas, finì in tragedia: l’assalto dei commando dell’esercito israeliano a sei navi fece 20 morti, per la maggior parte turchi. Ora, alla vigilia della seconda Freedom Flotilla, Israele è in fibrillazione. Due settimane fa il primo ministro Benjamin Netanyahu avrebbe convocato gli ambasciatori stranieri per avvertirli della spedizione. E gli attivisti arrivano ad ipotizzare: «Abbiamo il forte sospetto che il suo assassinio sia stato un messaggio di Israele ai paesi membri della coalizione pro-Palestina – dichiara la Lano – Ma dopo la morte di Vik siamo ancora più determinati a portare a termine la nostra missione di aiuto agli abitanti di Gaza».
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