by Editore | 13 Aprile 2011 7:04
Mosca – «Attenti a quella polvere, qui a Cernobyl, continua a uccidere dopo 25 anni esatti». L’appello agli uomini di Fukushima arriva proprio dai veterani della “Catastrofe zero”, il termine di paragone finora mai raggiunto nella macabra classifica degli incidenti nucleari. Leonid Bolshov, direttore dell’Istituto russo per l’Energia Sicura conosce bene la storia del reattore e la realtà ancora minacciosa di quella vastissima area tra Ucraina, Russia e Bielorussia, contaminata dall’esplosione del 26 aprile 1986. E’ turbato ma parla da tecnico: «Costruire dei sarcofagi che sigillino quei reattori è inevitabile. Ma intanto bisognerà stare attenti a polveri e a particelle di carburante nucleare che il vento sta portando lontano dalla centrale, chissà dove. A Cernobyl la cosa non fu fatta in maniera efficace e le conseguenze si vedono». E sono conseguenze pesanti. Una volta chiuso dentro un sarcofago il reattore esploso, le particelle letali erano ormai diffuse in maniera incontrollata per un’area vastissima. Un incubo a tempo indeterminato ancora presente. Proprio una settimana fa un gruppo di scienziati americani e ucraini ha scoperto che tutti i bambini da tre a cinque anni che vivono in un raggio tra 50 e i 60 chilometri dalla centrale, soffrono di problemi cronici alle vie respiratorie. Molti di loro sono condannati ad essere affetti da serissime malattie polmonari. Il professor Erik Svenssen dell’Università della South Carolina, che ha guidato la ricerca, è amaramente sorpreso: «Abbiamo studiato tutta la regione di Narodici. Zona abitata, dove tutto sembra normale e lontano da ogni pericolo. Eppure è satura di Cesio 137, trenta, quaranta volte le dosi massime tollerabili». Sentenza che spazza via l’ottimismo del governo ucraino impegnato in una campagna di rilancio turistico e agricolo della zona. E che fa crescere le paure di chi abita anche a cento chilometri dalla zona off limits. La verità è che venticinque anni dopo gli scienziati non sono ancora in grado di capire come e in quale direzione le particelle radioattive si siano distribuite sul territorio. Il risultato è l’inquietante scenario di una vegetazione rigogliosa, animali selvatici e uccelli variopinti che si notano fin alle pareti grigie del reattore della morte. I radionuclidi si sono sparsi come semi lanciati al vento. Ci sono sentieri invisibili che sono assolutamente sicuri e zone venefiche altrettanto invisibili. Diventata suo malgrado un laboratorio mondiale per gli studiosi degli effetti delle radiazioni, tutta l’area del fiume Pripyat è monitorata da sempre con risultati ogni volta diversi. Martin Khajdukh, che dirige un piano russo per lo studio dell’adattamento alle radiazioni ammette che ci vorrà ancora tempo per capire bene quando la situazione sarà veramente sicura: «L’ecosistema è ancora impazzito. Gli insetti subiscono fortemente le radiazioni. Gli uccelli sembrano reagire bene e infatti sono tantissimi. Per l’uomo è difficile dire. Ci sono persone che hanno sviluppato tumori e altre affezioni gravi anche con livelli di radioattività relativamente bassa. Altri che invece resistono in buona salute perfino in zone vietate a ridosso dalla centrale esplosa». «Insomma è un disastro senza fine – dice Jaroslav Movchan – che dirige il centro ecologico nazionale di Kiev – E nessuno è in grado di dirci cosa fare. In più il governo spinge per riaprire all’agricoltura terreni vicini al reattore. Una follia come le visite guidate per i turisti. Ma almeno quei tour, con tute e docce decontaminanti finali, durano solo un paio d’ore. Qui c’è gente che vive ogni giorno in una zona pericolosissima esposta a pericoli sconosciuti». Poi l’amara considerazione su Fukushima: «Dicono che è come Cernobyl? Mi auguro di cuore per loro che non sia così. Se penso a quanta gente vive in quella regione…».
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