“Alle aziende serve stabilità ” Tremonti incrocia le presidenze

by Editore | 5 Aprile 2011 6:35

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MILANO – «Non possiamo rischiare di destabilizzare il vertice dell’Eni, abbiamo già  qualche problema con le Generali». Lo avrebbe detto Giulio Tremonti ai tanti che ieri gli chiedevano perché non scegliesse per la presidenza Eni il consigliere Paolo Colombo, dal quale si è fatto rappresentare per nove anni intensi a San Donato. Il ministro li ha ascoltati serafico, tanto aveva già  deciso, e disposto. Colombo andrà  all’Enel, all’Eni tocca a Giuseppe Recchi. Il fatto è che l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni – che si avvia al terzo mandato – non ha mai avuto rapporti facili con il mastino di Tremonti, che tante volte gli ha fatto le pulci. Come quando, nel 2005, da capo dei sindaci Eni avviò l’indagine che contribuì ad affossare il famigerato e impresentabile “schema Mentasti”, che Scaroni s’era trovato sulla testa all’arrivo. Forse al Tesoro la tentazione di far salire Colombo in Eni c’è stata, ma è stata scacciata come si fa con quei pensieri troppo esatti. Tremonti, che un anno fa si spese perché Cesare Geronzi entrasse nel vertice a Trieste (di fianco al da lui poco amato Giuseppe Perissinotto) non vuole ora rischiare esiti simili. Ieri a Milano il ministro ha fatto gli auguri sia a Scaroni che a Colombo. Tra tutti sono corse parole di stima e riconoscenza; benché in conversazioni private Scaroni avrebbe rivelato, anche in azienda, il sollievo per essersi «finalmente levato di torno quel rompiscatole». E il “rompiscatole” Colombo ha accettato con sincero entusiasmo la nomina dirimpetto: «Sono un professionista, girare aziende è il mio destino – diceva ieri ai collaboratori – dopo nove anni all’Eni ho una grande occasione per fare un’esperienza in un’altra grande azienda e collaborare con un management di alto livello». Non che a Colombo manchi curriculum, tra le tante consulenze e le esperienze dirette in Mediaset, Intesa Sanpaolo, Rcs. Ora Colombo, insieme al confermato ad Fulvio Conti, avrà  tutto modo di misurare le doti che molti mondi – spesso distanti – gli riconoscono nelle sfide che fronteggia Enel: un nucleare tutto da rifondare, la presenza internazionale, la tenuta a bada del debito. Ancor più interessante sarà  valutare l’ingresso di Recchi all’Eni, nella poltrona che fu di Mattei. «La proposta mi riempie di orgoglio – avrebbe detto al suo staff – poter pensare di mettere le mie competenze acquisite nella più grande multinazionale del mondo al servizio della più grande multinazionale italiana». Il manager in arrivo ha gestito la privatizzazione di Nuovo Pignone (ceduta da Eni, guarda i casi) sotto l’egida di General Electric, la grande conglomerata a stelle e strisce. Ora Recchi lascerà  Ge, per sciogliere il conflitto per cui è grande fornitrice di turbine a Eni-Saipem. La sua nuova azienda ha davanti quattro grandi sfide: rinegoziare gli accordi sul gas russo, il progetto del gasdotto South Stream, il first oil a Kashagan, la soglia di 2 milioni di barili al giorno per Eni. A Mosca, in ambienti vicini a Gazprom, si commentava così: «Non poteva andar peggio con le nomine Eni: il “non amico” Scaroni rimane, in più ci mettono un presidente americano». Ma forse, se Recchi saprà  ritagliarsi il ruolo da ambasciatore internazionale che cerca, sarà  la volta che l’Eni riequilibra il contestato (da Washington) appiattimento strategico sui fornitori russi. E forse, di conseguenza, potrà  sbloccarsi l’impasse sulla costruzione del South Stream, su cui giorni fa Richard Morningstar, leader per l’energia in Europa e Asia, ha reso inedite aperture: «Non siamo contrari ma neutrali. Non lo supportiamo ma non ci opponiamo, anche se ci sono preoccupazioni per i costi e le forniture». Un passo avanti, dai cable drammatici rivelati da Wikileaks.

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