Prima il Paese

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Ritenevamo che fosse errata, infatti, la nostra iniziale posizione ambivalente nel conflitto libico. E riteniamo che ora si stia rischiando di creare il «peggio» quando la Lega, chiamata a una prova di maturità  politica, scuote invece la maggioranza per ragioni che nulla dovrebbero avere da spartire con l’interesse nazionale. Essendo sacra in democrazia ogni forma di protesta e di dissenso, e non essendo certo inedite nel mondo le liti interne sulla politica estera, cerchiamo di orientarci nella confusione che turba i Palazzi romani (e padani). Interesse nazionale, dicevamo. Perché l’Italia poteva dissociarsi dalla risoluzione Onu sulla protezione dei civili in Libia, come ha fatto la Germania. Poteva essere assai più avara nel concedere le sue basi. Ma non poteva stare a metà  del guado, mezza belligerante e mezza neutralista, senza danneggiare due suoi fondamentali interessi: mantenere saldo il rapporto con gli alleati e avere una voce da far pesare quando si parlerà  di futuro in Libia. Fino a lunedì scorso, il governo ha commesso questo errore. Poi ha cambiato rotta (pressato dall’America e dalla Nato ben più che dalla Francia), e nel muovere il timone Berlusconi di errore ne ha commesso un altro, «dimenticando» , con l’evidente intento di rinviare un confronto scontato, di consultare preventivamente la Lega. Ma ora che la decisione è stata presa e che si tratta di una decisione corretta viste le premesse, ora che Palazzo Chigi e Quirinale si trovano in sintonia come non accade sempre, ora che siamo usciti da una autolesionista ambiguità , cosa fa la Lega? Sceglie proprio la collocazione internazionale dell’Italia per dare via libera a una lotta di potere dentro la maggioranza che in realtà  si nutre di tutt’altre ragioni. E concede così spazio anche all’opposizione, a Di Pietro che cavalca la stessa tigre leghista (come in Afghanistan) e al Pd che non si sbilancia, senza che ad alcuno venga in mente che per l’Italia sarebbe comunque un boomerang aprire una crisi sulle scelte di politica estera. La Libia, insomma, sta facendo da paravento all’avvicinarsi delle elezioni amministrative. Serve da strumento per far credere alla base leghista che sparare razzi contro i carri armati di Gheddafi farà  aumentare il numero dei migranti, mentre le due cose sono per ora non collegate e in futuro una ritrovata influenza italiana potrebbe servire a farlo diminuire. Viene invocata, la Libia, per chiedere un nuovo voto parlamentare il 3 maggio (due giorni prima che si riunisca a Roma il Gruppo di contatto sugli sconvolgimenti nel mondo arabo!), mentre è noto che una mozione di maggioranza è già  stata approvata in aula il 24 marzo scorso, e che il presidente Napolitano, ancora ieri, ha giudicato le incursioni aeree «coerenti» con quanto deciso dal Consiglio supremo di difesa. La Lega, lo ripetiamo, ha ogni diritto di litigare con i suoi alleati. Ma il nostro auspicio è che non siano le delicate alchimie della politica estera italiana a farle impugnare la spada.


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