Polizia al confine, Parigi ferma i treni italiani

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VENTIMIGLIA — Il confine è sospeso, per mezza giornata a Ventimiglia Italia e Francia non si toccano. Non arrivano treni, non partono. La celere (quella d’oltrefrontiera) schiera a San Ludovico, la vecchia dogana sul mare, una dozzina di blindati, i primi due con le reti a fare da barriera. Alla stazione di Mentone un capotreno ammette: «È arrivato l’ordine dal ministero degli Interni» . Bisogna aspettare il Tgv delle 18.08 per tornare Paesi vicini. Non è questione di migranti, permessi e titoli di viaggio. O meglio: non è la ragione principale. A irrigidire le autorità  francesi è una manifestazione che porta alla stazione di Ventimiglia duecento italiani, Arci, sindacato, centri sociali, studenti, calati in pullman dall’Emilia e dal Veneto, e soprattutto a bordo del «treno della dignità » da Genova, con l’intenzione di scortare i tunisini fino a Marsiglia e «vigilare su possibili abusi» . Ma da Mentone non arriva il personale per avviare le motrici, che su questi binari cambiano nazionalità  prima di varcare il confine. Le Ferrovie italiane possono solo rispondere: «Ci hanno comunicato di aver interrotto la linea, fino a nuovo avviso» . A cominciare dal locale per Grasse delle 12.47 (sul quale avrebbero voluto salire i manifestanti il tabellone della stazione segna «soppresso» accanto a tutte le destinazioni francesi. «Che succede?» , chiede Hicham. Imbianchino, 27 anni, mostra con soddisfazione la scheda plastificata del permesso temporaneo conquistato sabato. Vorrebbe raggiungere la sorella ad Anversa, Belgio, ma non riesce a fare neanche i 10 chilometri che lo separano dalla Costa Azzurra. Sono momenti d’incertezza, finché Parigi dichiara apertamente: «È una misura temporanea per ragioni di ordine pubblico motivata dal fatto che era in corso una manifestazione» . Del resto, aggiunge un funzionario del ministero degli Interni: «Non risulta che avessero chiesto l’autorizzazione a Nizza» . Attivisti e migranti si spargono per la piazza della stazione. Quindi il corteo s’infila nell’imbuto della via che porta al Municipio, dove polizia e carabinieri si son già  preparati in assetto antisommossa. I tunisini, un centinaio, sono in mezzo, incitati a gridare slogan anche in arabo. I manifestanti parlano italiano, a volte traducono in francese. Tutti insieme urlano più volte «Liberté» . È la fase più tesa. C’è Nicola Grigion al megafono, arrivato da Padova, leader emergente dell’area dei centri sociali veneti: «Hanno scelto di erigere un muro, non ci piace: lo vogliamo abbattere!» . Si vorrebbe arrivare per protesta al Consolato francese, gli agenti non fanno passare. Si vorrebbe mandare solo una delegazione, nemmeno («Ordini da Roma» ). Si pensa di attraversare il valico con i due pullman, la polizia non libera la strada. Un piccolo gruppo vorrebbe salire sul treno per Breil, quello che sfora in Francia e poi va a Torino e non è stato soppresso. Ma c’è la possibilità  che blocchino pure quello e allora all’improvviso dalla piazza si comincia a correre dentro la stazione, prendendo di sorpresa gli agenti, fino ai binari. Si cammina per qualche centinaio di metri. Finché al passaggio a livello c’è ancora uno stop e una nuova trattativa. Rassicurati dalla Croce rossa sulla possibilità  (peraltro mai negata) per i tunisini di mangiare e dormire al centro di accoglienza, i manifestanti mollano e rientrano in stazione. Nessuna partenza, nessun respingimento ieri, conferma la polizia di frontiera. Oggi è un altro giorno per provare a passare.


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