Perù, presidenziali al ballottaggio. La vittoria del malessere

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Domenica 10 aprile 2011 si sono svolte le votazioni per eleggere il Presidente della Repubblica e i 130 parlamentari  del Perຠche rimarranno in carica per i prossimi cinque anni. I risultati hanno confermato ancora una volta che l’unica cosa prevedibile delle elezioni peruviane è la loro imprevedibilità . Sono stati infatti completamente ribaltati i sondaggi di appena un mese fa e il candidato che raccoglieva i maggiori consensi, l’ex presidente Alejandro Toledo, è arrivato utimo tra i cinque con possibilità  di essere eletti, mentre il penultimo, Ollanta Humala, è arrivato primo con il 31.7 percento delle preferenze. Non avendo però ottenuto il 50 percento più uno dei voti richiesti dal sistema maggioritario a doppio turno vigente nel paese, Humala dovrà  vedersela il prossimo 5 giugno 2011 con la seconda classificata, Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente, che ha ottenuto il 23.3 percento dei voti battendo il terzo classificato, Pedro Pablo Cucinski rappresentante della coalizione della destra storica peruviana. L’elemento inquietante dei due candidati alla presidenza del Peràº, uno dei quali entrerà  in carica il prossimo 28 di luglio, è che entrambi hanno un familiare molto stretto in carcere condannato per delitti gravissimi: Humala il fratello Antauro, condannato a 25 anni di carcere per avere ucciso quattro poliziotti durante una insurrezione armata organizzata nella cittadina di Andahuaylas, nella zona andina meridionale del paese; Keiko suo padre, condannato anch’egli a 25 anni per gravi reati di lesa umanità , violazione dei diritti umani e corruzione compiuti durante il periodo, tra il 1990 e il 2000, in cui é stato Presidente.

Il Perù è l’esempio evidente di un paradosso che molti chiamano ingiustizia: è il primo produttore al mondo di argento, terzo di zinco e stagno, quarto di piombo e quinto d’oro; il paese dispone di enormi riserve di gas naturale, ha un mare pescosissimo, foreste sterminate. Grazie all’aumento dei prezzi delle materie prime di cui è ricco, ha goduto negli ultimi dieci anni di una crescita macro economica vertiginosa che ha superato il 20 percento solo negli ultimi quattro anni e questo nonostante la recessione mondiale del 2009. Il problema è che a questa crescita (macro) economica non é stata seguita da una volontà  e capacità  politica dei governanti volta ad assicurare una ridistribuzione equa dei benefici, che in effetti sono rimasti in poche mani. Solo il 36,4 percento della popolazione economicamente attiva del Perù ha oggi un impiego formale. Trent’anni fa era il 50. Il Perù investe solo il 9 percento del Pil nei settori sociali, circa la metà  dell’investimento sociale promosso da paesi come Brasile, Cile e Argentina. La spesa per l’educazione pubblica è solo del 3 percento – quasi interamente destinata a pagare stipendi e costi amministrativi – a fronte di una media latinoamericana del 4,1. E infatti l’istruzione pubblica elementare peruviana, l’unica alla quale ha accesso la popolazione meno abbiente maggioritaria nel paese, è considerata in assoluto una delle peggiori del mondo.

A fronte di una borghesia benestante che si concentra quasi esclusivamente a Lima e nei principali centri urbani del paese, la maggioranza della popolazione, principalmente quella delle sterminate periferie della capitale e delle zone rurali andine abbandonate a sé stesse, si sente esclusa e inizia a provare un forte risentimento. Per questo forse, il risultato elettorale di ieri più che una sorpresa evidenzia il segno di un profondo malessere sofferto da una parte maggioritaria della popolazione peruviana, esclusa dai processi di sviluppo che dispone, come unico canale di comunicazione per essere in qualche modo ascoltata, solo dell’esercizio del voto ogni cinque anni. Questa volta lo ha esercitato escludendo dalla corsa alla presidenza i candidati piຠlegati alla continuità  del modello economico e politico. Ha scelto paradossalmente due estremi: la sinistra radicale di Humala e la destra populista di Fujimori. Ma in entrambi i casi il dato di fatto è il seguente: il voto dei settori più emarginati della società  peruviana ha determinato il risultato elettorale di ieri. Vedremo se questo riuscirà  a determinare e come un cambiamento per il futuro del paese.


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Gli attacchi contro la Spagna rimbalzano in Francia e scuotono la campagna. Nicolas Sarkozy, che da giorni – irritando fortemente Madrid – non fa che ripetere che se vince Hollande la Francia farà  la fine della Spagna e, perché no, della Grecia, ieri ha di nuovo preso di mira lo sfidante socialista: «Ho sentito un candidato – ha affermato – che dice che non terrà  conto dei mercati, ma non tener conto dei mercati non ha senso, se volete non tenerne conto, vi dò un buon consiglio: rimborsate i debiti, riducete i deficit e così non avrete bisogno di qualcuno che vi presti i soldi, ecco come si può non tener conto dei mercati». 

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