Perché l’amore è una rivoluzione (sempre) mancata

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Gli è tornata in mente durante il viaggio nella capitale compiuto per il funerale di un amico da tempo perduto di vista, l’ex barman Santandrea, ormai maturo per gli alberi pizzuti, come con ghignante e scaramantica metafora viene definito a Roma il cimitero. Il viaggio per il vecchio giocatore afflitto da un cuore non troppo a posto (il tenebroso muscolo) non è per nulla agevole, pieno com’è di diuretici. Così come non è agevole ora scrivere di quella remota storia e di quei remoti personaggi che la animarono. Gianfranco Calligarich ha avuto la strana ventura di esordire due volte con il suo romanzo L’ultima estate in città , uscito da Garzanti nel ’73, auspici Cesare Garboli e Natalia Ginzburg, ma poi dimenticato e riscoperto da Aragno (e dalla critica) l’anno scorso. Ora, dopo aver molto lavorato come sceneggiatore e direttore di un teatro e dopo aver pubblicato, nel 2002, un ironico puzzle di storie epistolari, Posta prioritaria (Garzanti), ecco di nuovo un romanzo, Privati abissi, che in qualche modo si ricongiunge al primo, ma, se possibile, con un distacco ancora maggiore dalla storia narrata. Avevo scritto, a proposito dell’Ultima estate in città , che si trattava di una storia di perdenti, abituati a vivere ai margini, quasi di avanzi. Sbagliando l’oggetto dei loro amori e dunque soffrendo. Privati abissi è la storia di una magnifica ragazza impossibile, molto ricca, dotata di Porsche bianca ed eternamente vestita di bianco che d’improvviso appare, nei vicoli della vecchia Roma, in un locale che si chiama Tempo ritrovato (sarebbe piaciuto a Chandler, chissà  se l’autore ci ha pensato) dove siede molto spesso il narratore e dove distribuisce le sue “liquide benedizioni” quel Santandrea che abbiamo conosciuto da morto, ma che all’epoca era ancora in forma perfetta. Socio di Santandrea un giovane ricco e silenzioso, grande e grosso come un armadio e, come gli armadi, piuttosto silenzioso. Per antonomasia, “il mio Sprangato Partner”. La ragazza, entrata nel locale con una tipa mascolina che vedendola interessata allo Sprangato Partner le rovescia un bicchiere di whisky addosso, finirà  per abbordare l’uomo taciturno, di cui, a poco a poco, scopriamo che è figlio di industriali genovesi provenendo dal “ligure capoluogo” cui prima o poi dovrà  tornare, che suona il piano nelle sale di registrazione e che abita in una monocamera con terrazzo disselciato da cui si vede una cupola. Tra i due sembra scoppiare una passione irrefrenabile, consumata con abbracci furiosi nei vicoli vicini. Al narratore, che naturalmente si era invaghito di lei, non resta che farsi da parte, fino a che è la ragazza stessa a chiedergli di fare da testimone al loro matrimonio. Come ho già  detto, il narratore è un giocatore. All’epoca si trova a Roma per sfuggire a una controversia con un padrone di bische di una città  nebbiosa. Quale? Sono tutte uguali, commenta. Ora dopo aver bighellonato tra un bar e l’altro, alla sera raggiunge i tavoli “del mio sostentamento” in un’altra parte della città . Proviamo a gettare uno sguardo al di là  dei bicchieri pieni di whisky o di calvados: siamo nel ’68 e i bar di piazza Navona sono animati da una nuova specie di umani: i Rivoluzionari. I nostri personaggi non hanno tempo per loro: si limitano a guardarli di sfuggita, assolutamente disinteressati ai loro problemi e ai loro destini. D’estate scompariranno, perché sono Rivoluzionari che fanno le vacanze. Intanto si complica la vita dei nostri protagonisti, tutti in qualche modo in fuga da qualcosa e ospiti precari della capitale. Il matrimonio fallisce quasi subito, perché lei, la bellissima e impossibile ragazza in bianco, ha una storia molto complicata e nerissima alle spalle e non riesce a fare l’amore. Non aggiungerò altri particolari, né lumi su altri personaggi, che pure compaiono ed entrano in azione, come se avessero un preciso ruolo assegnato. Privati abissi è la storia perturbante di gente che non parla e si lascia vivere come può, precipitando verso la catastrofe finale. Calligarich chiude i suoi personaggi nella (in apparenza) rassicurante definizione antonomastica che ha escogitato per loro: lo Sprangato Partner, la Mascolina Navigatrice, il Bianco Marinaio, il Grande Padre, il sorriso a sfottere su bocca robustamente ben fatta. La prosa, sorvegliatissima e ad alta gradazione ironica, ammette quasi solo aggettivi che precedono il sostantivo. È un continuo esorcizzare e contenere i guasti del vivere. Il vecchio giocatore che ha passato le sue serate a vincere poco e talvolta anche a perdere (per esempio un cane enorme, di quelli che hanno troppa pelle per il loro corpo e che subito diviene l’Idolo Atzeco) dà  l’impressione di voler rassicurare il lettore. Vedi, sembra dire, è tutto ben definito. In realtà  sta bluffando. Con un sottile gioco di dissimulazioni Calligarich fa rigiocare una partita decisiva e ultima ai suoi eterni perdenti. Forse, ci dice, vivere è solo una magnifica illusione in un grande mare di solitudine e di indifferenza, ma guai a lasciarlo capire.


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