Palestinesi, le verità non dette e i falsi maldestri per coprirle Le «verità di guerra»
GERUSALEMME— «Would have been different» : sarebbe stato diverso, se… Autodafè o pentimento, l’ultima frase di Richard Goldstone è diventata un tormentone in Israele. Al mercato di Tel Aviv, l’hanno stampata sulle t-shirt. Perché l’ultima verità è portabile in ogni occasione: tutto sarebbe stato diverso, ha riconosciuto l’autore del «Rapporto Goldstone» sui crimini di guerra a Gaza, se solo avesse avuto tutti gli elementi per giudicare. Una frenata, nel totale silenzio dei pacifisti. Una retromarcia, nell’imbarazzo dei palestinesi. L’ennesimo «smascheramento delle false verità » , ha scritto l’editorialista Ben Caspit su Ma’ariv: quelle del Comitato Onu per i diritti umani che nel 2009, sotto la guida di Gheddafi, votò il rapporto che inchiodava Israele; quelle dei giudici inglesi, che da due anni minacciano le manette a qualunque politico israeliano atterri da quelle parti; quelle della propaganda palestinese che, da sempre, non fa molto per imbrigliare le bufale. La fabbrica delle balle, già . O delle verità non dette. Una delle attività politicamente più redditizie, in Medioriente. Ne sa qualcosa lo stesso Richard Goldstone, giudice sudafricano ed egli stesso ebreo, che per mesi è incocciato nei silenzi dell’esercito israeliano e s’è trovato in mano elenchi della morgue, forniti da Hamas, dove le stesse vittime erano registrate più volte. «Le bugie girano— dice Yakov Amidror, consigliere del premier Netanyahu —, ma c’è un pregiudizio che spinge quelle antisraeliane a trasformarsi subito in verità assodate» . «Spesso occorre tempo per capire le verità — ribatte Hanan Ashrawi, deputata palestinese— e non è detto che quelle israeliane siano indiscutibili» . Certe volte, c’è poco da discutere: caso storico fu il «massacro di Jenin» del 2002, in cui morirono 33 israeliani e 56 palestinesi, quasi tutti maschi adulti. Ci volle un po’, ma poi si capì che «le oltre 500 vittime civili» denunciate dall’Autorità palestinese erano, in realtà , dieci volte meno e in gran parte combattenti. Tempi di dura propaganda, i primi anni zero, quando Arafat donava a uso tv il sangue per i feriti dell’ 11 Settembre e, intanto, distraeva dalle piazze di Ramallah esultanti per il crollo delle Twin Towers. O quando l’uccisione d’un bambino davanti alle telecamere, Mohammed Al Durrah, si trasformava in una controversa icona. Imorti non sono tutti uguali: dipende da come li si rappresenta. O da quanto se ne parla. Goldstone l’ha riconosciuto: Israele è una democrazia capace d’indagare su se stessa. Magari minimizza (chi ricorda più Yaakov Teitel, il colono che collaborava coi servizi e intanto ammazzava indisturbato gli arabi?) o ritarda (dopo un mese, ha ammesso d’avere rapito in Ucraina un sospettato di terrorismo). Di rado, però, fabbrica falsi maldestri come i resistenti: accadde con la povera famiglia Ghalia, 2006, «colpita dalle navi israeliane» mentre stava sulla spiaggia di Gaza, in realtà centrata per sbaglio da un mortaio «amico» ; o tre mesi fa a Jawaher Abu Ramah, donna «soffocata dai gas israeliani» durante una protesta contro il Muro, in realtà mai vista a quella manifestazione e probabilmente morta in ospedale per un tumore. Sul caso Goldstone, Abu Mazen aveva subodorato qualcosa e s’era dato da fare per ritardare quel voto a Ginevra: gli avevano dato del traditore falsario, proprio quelli che s’erano inventati le bombe israeliane al fosforo (smentite dalla Croce rossa) o le «trenta moschee» distrutte a Gaza. Un ministro di Netanyahu l’altroieri ha invitato Goldstone a un calumet della pace. Il giudice ha accettato: sarebbe stato diverso, se…
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