Occidente, riscopri il quoziente emotivo
Non si può pensare – come faceva Hegel – che tutto sia riconducibile al dominio della ragione, al contrario dobbiamo essere coscienti che moltissimi aspetti del reale sfuggono alla comprensione razionale. Una razionalità aperta e non ottusa, dovrebbe cercare di comprendere e integrare quest’altra dimensione. La nostra cultura, invece, ha sempre inseguito un illusorio dominio della ragione, favorendo – come ha ricordato Adorno – una razionalità puramente strumentale, spesso al servizio di progetti deliranti. Per questo, lo sviluppo della civiltà occidentale – tutto sotto il segno dell’efficacia economica e del dominio della natura – è spesso figlio dell’hybris nata da una ragione troppo sicura di sé. Lo sviluppo scientifico ed economico – che pensavamo essere perfettamente razionale – produce così risultati del tutto irrazionali, come ad esempio la distruzione della biosfera, che è la nostra condizione vitale. Questa visione riduttiva e semplicistica della razionalità è all’origine dell’odierna dittatura del calcolo, che il razionalismo occidentale considera una condizione necessaria e sufficiente per dominare la realtà , dimenticando che molti degli aspetti essenziali della nostra vita – l’amore, l’odio, il desiderio, la gelosia, la paura, ecc. – sfuggono del tutto ad ogni logica quantitativa. E perfino negli ambiti in cui il calcolo dovrebbe trionfare, ad esempio l’economia, la dimensione irrazionale è spesso decisiva, come ha dimostrato l’ultima crisi. A questa razionalità chiusa e ottusa, va contrapposta un’altra razionalità , aperta e autocritica, che è sempre stata una corrente minoritaria del pensiero occidentale. È la razionalità di Montaigne, ma anche di Montesquieu o Lévi-Strauss. Una razionalità critica che accetta l’idea che le sue teorie possano essere rimesse in discussione. Essa non solo riconosce i propri errori, come ha insegnato Popper, ma sa anche accettare ciò che sfugge al suo dominio e alla sua comprensione. «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce», ha scritto Pascal, ricordandoci l’importanza delle passioni, che devono essere integrate alle nostre modalità di conoscenza e di relazione con il mondo. Accanto alla lucidità razionale, occorre quindi valorizzare il potere conoscitivo delle passioni e delle emozioni (da sottoporre comunque a un controllo critico). Tra ragione e passione il dialogo deve essere continuo. Questa esigenza non è una novità . Basti pensare a Jean-Jacques Rousseau, che già ai tempi dell’Illuminismo sottolineava l’insufficienza del pensiero razionale e l’importanza dei sentimenti. Lo stesso vale per il romanticismo. Oggi sarebbe importante tenere insieme le verità dell’illuminismo e quelle del romanticismo. Purtroppo non lo si fa quasi mai, perché siamo tutti prigionieri di una logica binaria che domina anche il mondo dell’educazione, dove si privilegia la razionalità , in nome di un universo fatto solo di certezze e una visione riduttiva dell’uomo. In realtà , accanto ad alcuni arcipelaghi di certezze incontestabili, noi ci muoviamo in un universo fatto da oceani d’incertezza. Se veramente volessimo insegnare ai giovani la complessità della realtà umana, dovremmo spiegare loro che, accanto all’homo sapiens, figura sempre l’homo demens, giacché il delirio e la follia sono da sempre una delle polarità umane. Come pure, accanto all’homo oeconomicus, non manca mai l’homo ludens, quello che adora il sogno e il gioco. Insomma, l’homo faber non è solo un inventore di macchine, ma anche un produttore di miti e di credenze che non poggiano certo sulla razionalità . Riconoscere questa ricchezza e questa complessità è oggi una necessità , perché solo così sarà possibile affrontare le sfide della contemporaneità . (testo raccolto da Fabio Gambaro)
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