by Editore | 1 Aprile 2011 7:30
ROMA – Nuovo giorno di caos alla Camera. Il Pdl rinvia alla prossima settimana la prescrizione breve, «una cialtronata della peggior specie» per l’ex pm di Mani pulite Davigo. Verrà prima il conflitto per Ruby che preme a Berlusconi per l’udienza del 6 aprile. Napolitano chiama i capigruppo di Camera e Senato. Impartisce una lezione di rispetto istituzionale. Dice con nettezza di far calare la tensione, pena un danno irrevocabile. Richiamo inevitabile dopo ore di scontro duro alla Camera. Il giorno prima il “vaffa” di La Russa contro Fini. Ora Fini quasi raggiunto da un giornale lanciato dai banchi del centrodestra e poi da una pallina di carta. Al grido di «buffone buffone, dimettiti dimettiti». Alfano non fa in tempo a votare e scaglia in aria la scheda elettronica fino a raggiungere il banco di Di Pietro. Tessera esibita per ore come un trofeo. Il leghista Polledri dà della «handicappata di m…» alla Argentin, la deputata Pd sulla sedia a rotelle. Débacle per il Pdl. Il gruppo si sfalda. Scajola spinge i suoi contro La Russa per lo «spettacolo indegno». Si comincia alle 10 e tira subito brutta aria. A partire dal verbale. Per l’opposizione è insufficiente rispetto al “vaffa”. Franceschini e Casini vogliono integrarlo. Il Pdl insiste, vuole il voto, è strappo. I deputati ritardano, Fini li richiama. Per quattro minuti. Da palazzo Chigi corrono i ministri. Fini chiude senza che abbiamo votato Alfano, Gelmini, Brambilla e Romani. Alfano lancia la scheda. Finisce in pari. Scatta la contestazione per Fini. Si deve votare di nuovo. Lungo stop. In Transatlantico, a destra, è un coro contro La Russa che «ha fatto saltare il processo breve». La Santanché è vista come “l’anima nera”. Lei: «Tra Fini e La Russa ha torto il primo». Arrabbiati i leghisti. Bossi: «Un errore strategico». C’è chi racconta che sono state raccolte cento firme per far dimettere La Russa. A sinistra D’Alema lo invita a «lasciare». Da questa parte si assapora la vittoria. Pure tra contrasti. Bindi chiedere «gesti simbolici di rottura», per D’Alema i fatti dimostrano «che era giusto restare in aula». Il verbale è pronto, il “vaffa” diventa «uno scambio di apostrofi». Si vota e passa. Ma parte il tormentone sul se, come, quando andare avanti. I deputati vogliono partire. Sono già le 12 e 30. Un’ora di stanchi interventi. Interruzione. Nella sala del governo ecco Alfano, Ghedini, Cicchitto. Si decide. Niente fiducia sulla prescrizione. È una via obbligata. Per metterla servirebbero sei votazioni. Troppe. Un maxi-emendamento sarebbe contestato da Fini. Da Montecitorio a via del Plebiscito con Berlusconi. Ordine preciso: «Andate avanti prima con il conflitto, poi con la prescrizione. Niente provocazioni, ma stop ai comportamenti non super partes di Fini. Con lui la partita va chiusa il prima possibile». Mandato preciso. Alle 15 imprevista trappola del Pd che chiede il ritorno del ddl in commissione. La maggioranza non ha i numeri. Prende tempo. Baldelli chiede il «rinvio» della prescrizione e si caccia in un guaio. Respinta per due voti la proposta del Pd. Vince l’altra. Ma quel «rinvio», in luogo di «sospensione», fa perdere al ddl il posto conquistato nel calendario. Per tre ore è di nuovo rissa. Ancora capigruppo. La prescrizione finisce dopo conflitto, comuni, legge Ue. Il centrosinistra canta vittoria. Bersani: «Volevano fare il blitz, hanno dovuto alzare bandiera bianca». Franceschini: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso». Casini: «Dilettanti allo sbaraglio. Bastava che La Russa chiedesse scusa». Bocchino grida «vergogna» a Frattini e La Russa «costretti a votare anzi pensare a Libia e immigrati». Di Pietro liquida La Russa: «Me lo ricordo trent’anni fa. Io commissario di polizia. Lui picchiatore».
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