by Editore | 28 Aprile 2011 6:47
Le case di compensazione, potendo emettere certificati di prestito garantiti da tutte le banche del sistema, creavano così un mercato del capitale interno che si sostituiva a quello aperto esterno, con l’obiettivo di ridurre il rischio di contagio tra istituti deboli e forti. Così, anche in una situazione di crisi, nessuna banca era lasciata fallire anche se insolvente. Le banche riceventi dovevano comunque fornire delle garanzie ed erano sottoposte a un regime normativo speciale. Se ora sostituiamo la parola «certificati» con «prestiti dell’Efsf», o dell’Esm, l’esperienza storica americana si traduce nelle attuali politiche anticrisi della Ue. Tuttavia, le risposte anticrisi dell’area euro non sono riuscite a replicare il successo. Anche qui, la spiegazione la fornisce la storia finanziaria degli Usa: quando la risposta alla crisi era tardiva, insufficiente o incoerente, le case di compensazione non riuscivano ad abbassare la tensione nei mercati. Anzi, la possibilità di fallire era connaturata nell’approccio degli istituti di compensazione alle crisi, perché la decisione di fornire assistenza era presa da un comitato costituito dalle banche più forti, i cui interessi non coincidevano con quelli delle banche minori. Ciò si traduceva per le banche importanti in un conflitto di interessi: da una parte, la volontà di contenere il contagio; dall’altra, l’opportunità offerta dalle crisi di ridurre il numero dei concorrenti. Fondando la Federal Reserve nel 1913, i legislatori colmarono le debolezze insite nel sistema. Anche questo c’è familiare. La risposta della Ue alla crisi è stata lenta e ha previsto pacchetti di sostegno di dimensioni insufficienti. Inoltre, ha lanciato segnali contrastanti. Poiché le politiche varate recentemente rafforzano i dubbi sulla solvibilità dei Paesi più deboli e senza il pieno appoggio di quelli forti mancano di credibilità , non sorprende che i vantaggi in termini di stabilità dei meccanismi di salvataggio si siano assottigliati rapidamente. Il confronto con la storia americana suggerisce infine che per la Ue potrebbe rivelarsi impossibile mettere in piedi un meccanismo anti-crisi credibile con le attuali strutture di governance. Primo, a causa della natura di lungo termine delle passività da contro-garantire; secondo, per la natura sfuggente dell’attivo che garantirebbe queste passività , vale a dire, la volontà dei contribuenti dei Paesi in crisi di onorare gli impegni assunti; e terzo, la possibilità che l’ambiente politico del meccanismo di contro-garanzia fornito dai Paesi forti accrescano una deresponsabilizzazione sul rischio da parte di alcuni Stati. Per stabilizzare l’area euro occorrerebbe quindi un’unione economica molto più profonda. Non è di un concetto nuovo, lo avanzava già nel 1990 la Bundesbank sostenendo che per un funzionamento armonico dell’unione monetaria forse l’unione politica era un prerequisito. *Professore di Finanza internazionale e sviluppo presso la Scuola per la finanza e il management di Francoforte (Traduzione di Guiomar Parada)
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