Milano stufa di malaffare e padroni immobiliari ora Letizia teme la “breccia”

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MILANO – Giuliano Pisapia e Manfredi Palmeri, candidati rispettivamente del Centrosinistra e del Nuovo Polo centrista destinati a darsi la mano se il 15 maggio si andrà  al ballottaggio contro un berlusconismo che dovrà  finalmente misurarsi con i suoi eccessi, si guardano interrogativi rigirandosi tra le mani il volantino neofascista che recita: “1 milione+6 milioni per la campagna elettorale tanto loro la crisi non la pagano-Vota FN Mantovani sindaco”. Intristisce Palmeri pensando al suo nanobudget terzopolista, sorride mesto Pisapia, che forse viaggerà  verso un finanziamento elettorale di meno di un milione che il Pd ancora malfidente fatica a rimpolpare, pensando non ai 6 milioni che donna Letizia spese nel 2006, ma ai 20 che stavolta dicono abbia in scarsella. Il marito Gianmarco è generoso, tanto che Tremonti alla richiesta dei denari per quella sarabanda dell’Expo 2015 la fulminò: “Letizia, il governo non è tuo marito!”. Ma il 15 maggio a Milano non si giocano più le ambizioni politiche familiari di un potente clan petrolifero o la vittoria del candidato vendoliano che alle primarie ha sconfitto il candidato ufficiale sorprendendo come al solito la nomenklatura democrat. Si gioca assai di più: l’apertura della breccia che può davvero compromettere la stabilità  del bastione berlusconiano, fatto di un cemento che mescola affarismo, leghismo, ciellismo, avventurismo, complottismo, trasversalismo del malaffare, in una caduta generale della capacità  d’indignarsi di quella che fu la capitale morale. Ciò che secondo Bobo Craxi, che pure ha naturalmente una lettura benevola delle vicende paterne, fa ormai di Milano “una città  senz’anima, tutta persa nelle baruffe immobiliari , perché quando non c’è più la politica confliggono soltanto gli interessi”. Concorda in qualche modo Bruno Tabacci, che avrebbe potuto essere il candidato di tutte le opposizioni e che forse ci fece un pensierino quando Corrado Passera di Banca Intesa gli disse:”Bruno candidati, è arrivato il tuo momento”: “Gli anni Sessanta e Settanta a Milano – dice – furono duri. Scorreva il sangue, altro che i neosanbabilini di oggi. Ma c’era una società  aggregata, socialmente stabile, uno spirito civico solido, una cultura di civismo di cui nella disintegrazione di questi anni non si vede più traccia, in un’assenza di sogni e in un pozzo di amarezza che rende i milanesi indifferenti e passivi, ormai persino incapaci d’indignarsi”. Una sorta di “introversione regressiva”, come qualcuno l’ha chiamata, di fronte allo spadroneggiare delle lobby neofeudali in lotta tra loro per la contesa di quote di potere: le Fondazioni bancarie, la Scala, la Fiera, l’Expo, le aree edificabili, gli appalti, i tunnel, la sanità . I plenipotenziari berlusconiani, da Bruno Ermolli in giù, che con tratto padronale impongono arroganti i loro diktat e i loro ciambellani. I ciellini che costruiscono instancabilmente i propri affari. Il pio Formigoni che invece di chiedere scusa di fronte all’imbroglio svelato delle firme false, rivendica i risultati elettorali come un lavacro che tutto monda, secondo l’invalsa concezione populista berlusconiana. Guido Podestà , berlusconiano della prima ora, che indossa il cappello di presidente della Provincia e quello di socio dei Cabassi, la famiglia venditrice dei terreni dell’Expo. Ignazio La Russa, famiglio di Salvatore Ligresti, con le sue intemperanze veterofasciste. Il potere arrogante esibito da personaggi incredibili come l’ex ministro Lucio Stanca, che per mesi ha bloccato il presunto storico appuntamento espositivo del 2015 pretendendo di fare, da Palazzo Reale, il manager di una sfida quasi impossibile e anche il parlamentare. I leghisti come quell’onnipresente Matteo Salvini che quotidianamente arricchiscono lo stupidario nazionale. Dinanzi ai nuovi feudatari, la borghesia illuminata delle famiglie si è come fulminata. Quando Cesare Geronzi, centurione della romanità  politica deteriore, espugnò Mediobanca , quasi tutti, dimentichi di Vincenzo Maranghi e della milanesità  discreta e fattiva, corsero a baciargli la pantofola proprio nel giorno del ricordo pubblico di Enrico Cuccia. Nessuno più osò invocare, come aveva fatto il banchiere Alessandro Profumo, un grande direttore d’orchestra per Milano, capace di far suonare tutti insieme, come vagheggiava il finanziere Francesco Micheli. Fu invece Letizia. L’incompetenza al potere, che di fronte ai poveri scout cattolici racconta cinque anni dopo di aver già  diminuito considerevolmente le code agli sportelli comunali, ma che ha deciso di ricandidarsi perché “sente” di non aver completato il suo lavoro, come invece è convinta di aver fatto da presidente della Rai, che per la verità  lasciò boccheggiante, e da ministro della Pubblica Istruzione, ruolo nel quale non l’ha fatta rimpiangere nemmeno la Gelmini. E infatti il suo programma è nient’altro che il copia e incolla delle promesse del 2006 non mantenute. Berlusconi fa scuola. La M1 e la M4 ? Al palo. I due grandi musei, tra cui quello di Libeskind a City Life? Sulla carta copiativa. Ma Letizia continua a tagliare nastri del niente. Come quello di qualche giorno fa che doveva inaugurare una fermata della linea gialla. Ma, a nastro tagliato, sbucando dal tunnel della metropolitana c’è soltanto un cantiere polveroso in ritardo di molti anni. L'”accoglienza nella legalità “? La racconta meglio il suo avversario Pisapia, tra le citazioni di Antonio Greppi, primo sindaco di Milano dopo la Liberazione, e il cardinal Martini: “Cinquecento sgomberi, con una spesa di 7 milioni. Milioni solo per spostare il problema, invece di usare quei soldi per dare casa e scuola a tutti”. E la sicurezza vera, non quella a carico dei Rom ? Un negozio milanese su cinque paga il pizzo alla ‘ndrangheta, che ha già  allungato le mani sull’Expo. Ma la costituzione di una commissione di vigilanza sugli appalti, proposta dall’opposizione, è stata respinta. Se c’è una cosa che funziona è l’anarchia urbanistica, cui il sindaco ha lasciato briglia sciolta non solo nelle grandi speculazioni, ma anche nelle ristrutturazioni di fabbriche dismesse. Si calcola che a Milano ci siano ormai 70 mila loft illegali, come quello del giovane Moratti-Batman nei cinque capannoni di via Ajraghi. Con Pisapia, che a sorpresa alle primarie sconfisse l’archistar Stefano Boeri, ora capolista del Pd, un pezzetto di borghesia sembra aver ritrovato dopo diciotto anni un po’ di energia, per iniziativa di Piero Bassetti, primo presidente democristiano della Lombardia, che ha dichiarato apertamente di votare per il candidato vendoliano. Con lui nel Gruppo d’iniziativa per il 51%, tra gli altri, Piero Schlesinger, professore della Cattolica, Mario Artali, vicepresidente della Banca Popolare di Milano, l’economista Marco Vitale, l’ex commissario della Consob Salvatore Bragantini, il sociologo Guido Martinotti. “Pisapia – dice Bassetti – è figlio delle professioni liberali, ha dimostrato attenzione al dialogo e andrà  sicuramente al ballottaggio in una Milano che è sempre stata anticipatrice in politica”. Come nel 1961, quando con la giunta del socialdemocratico Gino Cassinis, ex rettore del Politecnico, succeduto al tisiologo Virgilio Ferrari, un gentiluomo d’altri tempi che andò a morire al Pio albergo Trivulzio, si aprì la strada alla nascita del Centrosinistra, defunto trent’anni dopo, nel 1993, con Tangentopoli e con la decisione di Achille Occhetto di candidare a Milano Nando Dalla Chiesa. Pisapia non è Dalla Chiesa. Gli ultimi sondaggi, per quel che valgono, sono fausti: Moratti al 43, Pisapia al 42 e Palmeri all’8 per cento. Se sarà  così, ballottaggio assicurato. ” Con Berlusconi capolista che s’impegnerà  forte a Milano– ragiona Tabacci – può andare in questo modo, con una sconfitta del centrodestra. E sa perché? Perché ormai lui non è più un valore aggiunto, ma un valore sottratto, tanto che la Moratti spera che qui si veda il meno possibile”. Non la pensa così l’ex sindaco Gabriele Albertini, molto rivalutato ai tempi della Moratti, certo che gran parte dei centristi non potrà  votare un ex deputato di Rifondazione comunista. Dice che forse si andrà  sì al ballottaggio, ma infine prevarrà  la signora, nonostante la scarsa propensione degli elettori berlusconiani a partecipare al secondo turno. Allora solo sogni in libertà  di una fresca serata di primavera ? Solo un miraggio evanescente che dalla culla del socialismo municipale turatiano, dopo 18 anni di sconfitte del centrosinistra, nutre l’illusione dell’imminente Waterloo del berlusconismo?


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