by Editore | 9 Aprile 2011 7:49
Questi alcuni degli slogan che si potevano leggere negli striscioni dei manifestanti, che lo scorso 6 aprile hanno marciato pacificamente in 28 città messicane, compresa la capitale Città del Messico. Milioni di persone chiedono che si fermi la violenza che sta mettendo in ginocchio il paese, ma anche un cambio radicale nella lotta al crimine organizzato e nelle politiche governative messe in atto per fare fronte a questa emergenza.
Nella capitale la marcia è iniziata davanti al Palazzo delle Belle Arti per arrvivare fino allo Zocalo, la piazza centrale. Contemporaneamente si marciava a Guadalajara, Pachuca, Tlaxcala, Querétaro, Cancàºn, San Cristà³bal de las Casas, Morelia, Pà¡tzcuaro, Puebla, Xalapa, Leà³n, Celaya, San Miguel de Allende, Guanajuato, Mérida, Durango, Chihuahua, Ciudad Juà¡rez, San Luis Potosà, Torreà³n, Saltillo, Oaxaca, Colima, Aguascalientes, Culiacà¡n, Monterrey e Cuernavaca, città del poeta Javier Sicilia, padre di uno dei 7 ragazzi trovati senza vita dentro un’auto lo scorso 28 marzo. Omicidi che secondo un narco-messaggio sarebbero attribuibili al cartello del Golfo, rivendicazione poi smentita dagli accusati e rilanciata al cartello del Pacifico. A Cuernavaca, le persone hanno marciato vestite di bianco a seguito del poeta che ha iniziato la marcia leggendo con una commovente lettera aperta indirizzata ai militari, ai criminali e ai politici.
Nella missiva Javier Sicilia si è rivolto prima di tutti alle forze armate del Messico, sottolineando come il popolo messicano abbia sempre avuto un grande rispetto per loro e per i loro servigi alla nazione, come quelli di difenderla dalle invasioni straniere, o di intervenire nelle catastrofi naturali, ma che “ora gli è stato affidato un compito che non è il loro, quello di andare per le strade a combattere”, un chiaro riferimentoalla militarizzazione del territorio e all’escalation della violenza iniziata dopo lo schieramento dell’esercito nelle strade: “Sono già 4 anni di guerra, e anziché diminuire il consumo e il traffico di droga sono aumentati, anziché sentirci più sicuri, sono aumentate le nostre paure e diminuito il coraggio davanti all’impotenza di vedervi lottare nelle nostre strade. Per questo vi chiediamo di non permettere che tra le vostre fila si annidi il crimine e aumenti la complicità ”.
Nella lettera Javier Sicilia fotografa la realtà messicana e rivolgendosi ai politici scrive: “siamo stanchi, perchè la corruzione delle istituzioni genera complicità con i criminali, e l’impunità per commettere i crimini; perchè è nel mezzo di questa corruzione che si vede il fallimento dello Stato”. Per Sicilia è arrivato il momento di restituire dignità alla nazione e sempre rivolgendosi ai politici, citando una frase di Josè Martì, leader dell’indipendenza cubana richiama a un gesto di responsabilità : “Se non potete, rinunciate”.
La partecipazione alle varie manifestazioni è stata molto alta in quasi tutte le città , tranne che nelle zone dove si registrano più violenza, come lo stato di Chiuhahua dove a Ciudad Juarez attivisti per i diritti umani come Marisela Ortiz Rivera e Maria Luisa Andrade continuano a lavorare nonostante le minacce di morte per il loro impegno. O nello stato di Tamaulipas dove quasi contemporaneamente alle manifestazioni delle grandi città del paese, la Procura Generale della Repubblica trovava otto fosse comuni con i corpi senza vita di 59 persone a vicino a San Fernando, stessa zona dell’atroce eccidioavvenuto lo scorso agosto. La violenza a Tamaulipas è arrivata a un livello tale che molte persone lasciano la zona e molti paesi, sopratutto quelli vicini alla frontiera, rimangono disabitati.
Amnesty International ha sollecitato il governo messicano ad aprire un’indagine completa ed efficace sulla morte delle 59 persone i cui corpi sono stati rinvenuti nella fossa comune nello stato settentrionale messicano di Tamaulipas. “Il rinvenimento di questa fossa comune dimostra ancora una volta il fallimento del governo messicano nell’affrontare la crisi della sicurezza pubblica nel paese e nel ridurre la violenza che espone molte persone ad attacchi, rapimenti e uccisioni. Troppo spesso queste violazioni dei diritti umani restano impunite. Le bande criminali e gli ufficiali collusi sono liberi di colpire le comunità vulnerabili, come quella dei migranti irregolari” – denuncia Amnesty.
Dalla fine del 2006, anno dell’inizio alla presidenza Calderà³n, si stima che ci siano stati almeno 34.000 morti per le violenze in tutto il paese, nonostante il massiccio dispiegamento di militari e polizia. Molti dei partecipanti alle manifestazioni di mercoledì scorso sono convinti che la la strategia ufficiale contro i cartelli della droga non stia funzionando, e forse il massacro di San Fernando è l’ennesima conferma. Secondo la Segreteria per la Sicurezza Pubblica la zona è diventata il campo di battaglia tra i cartelli de Los Zetas e del Golfo, che si scontrano per il controllo dei traffici verso gli Stati Uniti.
Il presidente Felipe Calderà³n ha condannato l’ultimo massacro e ordinato che si investighi a fondo: “Questi fatti riprovevoli sottolineano la codardia e la mancanza totale di scrupoli con cui agiscono le organizzazioni criminali responsabili della violenza nel nostro paese” ha dichiarato il presidente in un comunicato, aggiungendo che “queste situazioni riaffermano che tutti dobbiamo condannare la violenza generata dei delinquenti, così come deve esserci la convinzione assoluta che il governo federale deve combattere la criminalità con assoluta fermezza”. Ma forse le parole più significative sono state quelle del sottosegretario al governo Juan Marcos Gutiérrez Gonzà¡lez che in riferimento alle marce che si sono svolte in tutto il paese ha commentato: “Credo che siano state una legittima espressione della società e che per combattere il crimine sia sempre più necessario promuovere il binomio società / governo”.
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