by Editore | 26 Aprile 2011 7:45
KANDAHAR – La preparazione e l’efficienza delle forze di polizia afgane sono state messe ieri in discussione dopo la fuga di oltre cinquecento prigionieri dal carcere di Kandahar. Grazie a un tunnel scavato dalle celle verso una casa distante circa 200 metri dalla prigione, alcuni capi Taliban sono riusciti a dileguarsi, aiutati da un commando che li aspettava con tanto di auto a disposizione. Il piano di fuga, bene organizzato, ha richiesto cinque mesi di preparazione, vista la lunghezza del tunnel, e prevedeva anche l’opzione di un attacco kamikaze nel caso tutto non fosse andato per il verso giusto. Ma come hanno scritto gli stessi Taliban in un comunicato «non c’è stato bisogno del sacrificio», poiché i prigionieri del carcere dell’area di Sarposa, dove già nel 2008 si verificò una fuga, hanno potuto strisciare per trenta minuti ciascuno nel tunnel senza che nessuno si accorgesse di nulla. Ci sono volute quattro ore dopo la fuga dell’ultimo detenuto perché venisse dato l’allarme e stupisce che durante i lavori per scavare il tunnel, vicino a posti di blocco e alla strada principale verso Kabul, nessuno si sia accorto di nulla. Il presidente afgano Hamid Karzai ha definito l’accaduto, per bocca del suo portavoce, «un vero disastro» che avrà serie ripercussioni sull’intero governo poiché sono ora liberi alcuni influenti capi Taliban e perché le modalità di fuga mettono in discussione la lealtà e l’addestramento delle truppe afgane. Secondo analisti citati dall’agenzia Reuters è impensabile infatti che il tunnel sia stato scavato per cinque mesi senza che le guardie si accorgessero di nulla, in una delle aree dell’Afghanistan in cui è più massiccia la pressione degli eserciti della coalizione. Quanto accaduto fa crescere i dubbi sulla reale possibilità di trasferire progressivamente tutti i compiti di polizia e sicurezza del territorio alle forze afgane entro il 2014, come previsto dagli Stati Uniti.
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