Maroni minaccia le dimissioni poi Bossi lo rassicura: la Lega è con te
ROMA – Bobo Maroni non ci sta. Stanco di essere preso a bersaglio dell’ira e della delusione dei militanti della Lega, sbeffeggiato persino sulle frequenze di Radio Padania, il ministro dell’Interno l’ha messa giù dura. «Per fare questo lavoro – è stato il suo sfogo – devo sentire il mio partito dietro di me. Altrimenti, se pensano che un altro possa fare meglio, io ci metto un minuto a fare le valigie». La prospettiva delle dimissioni fa scattare l’allarme rosso nel Carroccio. Il ministro dell’Interno pretende il sostegno esplicito e visibile della Lega, senza più distinguo. Non vuole essere lasciato solo a rappresentare la faccia istituzionale e di governo del movimento, mentre tutti gli altri – a partire dal capo – gridano «fora di ball». Umberto Bossi capisce che la situazione è al limite. E convoca direttamente Maroni per un chiarimento a via Bellerio, alla presenza dell’altro colonnello leghista, l’eterno rivale Roberto Calderoli. Dopo oltre due ore di vertice, durante il quale il titolare del Viminale spiega nel dettaglio l’intesa raggiunta con la Francia sui permessi temporanei di soggiorno, alla fine viene siglata una tregua interna. «Piena intesa sull’immigrazione», dicono i leghisti all’Ansa dopo il vertice. E la minaccia di dimissioni di Maroni rientra. Il ministro è infatti soddisfatto per quanto ritiene di aver strappato al collega francese Gueant. A quelli che gli fanno notare che la Francia ha evitato di impegnarsi sull’accoglimento dei tunisini in possesso di un permesso di soggiorno italiano, Maroni risponde invitando a guardare la Germania. «La reazione rabbiosa dei tedeschi – confida ai suoi – è la migliore dimostrazione che la Francia ha accolto le nostre tesi. Per questo la Germania si fa sentire, è tutta tattica». Il ministro dell’Interno telefona poi a Berlusconi (impegnato in quel momento con Gianfranco Rotondi a palazzo Grazioli) e gli racconta il succo del vertice con i francesi alla prefettura di Milano: «La Francia – dice – conferma che il nostro provvedimento rispetta il trattato di Schengen. Se poi quelli che entrano in Francia non rispondono ai requisiti, loro non possono bloccarli alla frontiera come hanno fatto finora. Devono chiedere a noi la riammissione». È un punto cruciale quello dei requisiti necessari a passare la frontiera di Ventimiglia. Fino a ieri l’ordine di Sarkozy ai prefetti era stato quello di non accontentarsi del «papier» concesso dall’Italia ai clandestini, ma di pretendere documenti e risorse finanziarie per sostenere il soggiorno in Francia. Secondo Maroni tutto questo è alle spalle. «Se un tunisino dichiara di voler andare a trovare il fratello a Parigi e dimostra di avere i documenti, il permesso elettronico e i soldi per il biglietto, nessuno lo può fermare. Se ha il permesso elettronico può girare nell’area Schengen liberamente». Altrimenti – e questa è la previsione ma anche la minaccia italiana in vista del prossimo consiglio europeo – «se si ricomincia a mettere su le frontiere e questo vale solo per gli essere umani e non per le speculazioni finanziarie o le scalate societarie, allora è chiaro che salta tutto». Anche gli uomini di Berlusconi condividono l’approccio di Maroni. E persino il capo dello Stato, da Budapest, ieri ha offerto una copertura alle richieste politiche del governo italiano all’Europa. «Da questa situazione – spiega Gaetano Quagliariello – o se ne esce con una linea che porta l’Europa a partecipare pienamente oppure salta Schengen. Non è una sconfitta dell’Italia, è il fallimento dell’idea stessa di Europa unita». Berlusconi intanto si sta preparando al vertice del 26 aprile con il capo dello Stato francese. E mostra una certa comprensione per il collega transalpino: «Sarkozy, poveretto, alle presidenziali deve vedersela con la figlia di Le Pen. È costretto a fare la voce grossa, ma vedrete che si risolverà tutto». L’ordine insomma è stato quello di smetterla con gli attacchi a Parigi. Piuttosto ora l’Italia punta a giocare di sponda con Sarkozy per ottenere dall’Ue quel sostegno che finora è mancato. E soprattutto l’attivazione della clausola di solidarietà che consentirebbe di spalmare i migranti su tutti i 27 membri dell’Unione.
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