by Editore | 28 Aprile 2011 6:56
È lì, a Jefferson North, davanti all’uomo che in quanto segretario al Tesoro Usa rappresenta il principale creditore (nonché terzo azionista) del gruppo di Auburn Hills, che è attesa la conferma: Sergio Marchionne è a un passo dal restituire ai governi nord-americani, dunque ai contribuenti, i prestiti ottenuti due anni fa per il salvataggio della casa automobilistica. Le trattative con le banche che rifinanzieranno i 7,4 miliardi di dollari concessi da Stati Uniti e Canada sono ormai, in ogni caso, alla stretta finale. E se anche, oggi, dovesse arrivare solo un accenno (magari dallo stesso Geithner) fonti vicine al negoziato indicano lunedì come il giorno dei dettagli. È un’altra data non casuale: Chrysler riunisce il board che approverà la trimestrale e, secondo le stime, per quanto ancora appesantiti dai 3 milioni di dollari al giorno di interessi pagati su quegli stessi prestiti, i conti mostreranno in modo netto la forte ripresa industriale. Non a caso, ieri, il «Financial Times» parlava proprio del salvataggio Chrysler come di «un modello che ha funzionato: le ultime notizie dall’industria automobilistica mostrano che l’intervento dello Stato può avere successo, se avviene in linea con le regole del capitalismo» . Dell’accelerata di Marchionne verso il controllo di Auburn Hills, previo rimborso anticipato di tutti i prestiti governativi, si parlerà oggi anche a Torino. Inevitabilmente: è il giorno dell’assemblea Exor, con John Elkann all’esordio nella doppia veste di presidente e amministratore delegato, e in quanto tale sarà lui, poi, a collegarsi in conference call con gli analisti. Scontate le domande sulle intenzioni della holding di controllo Fiat in vista della probabile, benché non immediata, fusione con Chrysler. E prevedibili quelle sul ruolo anche industriale dell’Italia, tra i ricorsi della Fiom e l’ennesimo referendum alle porte: martedì alle Officine di Grugliasco si vota sui 500 milioni di investimento che il Lingotto è già pronto a portare altrove. Solo di pochi chilometri, probabilmente: Mirafiori è la sede più accreditata. Ma per l’ex Bertone sarebbe la chiusura definitiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA Intesa e Cdp in banchina a Venezia (fr. bas.) C’è movimento nei porti dell’Alto Adriatico. E se Unicredit è già sbarcata a Monfalcone e Trieste, mettendo però sulla banchina alcune condizioni, tra le quali il non avere la concorrenza di altri porti come Venezia o Ravenna e la creazione di collegamenti ferroviari adeguati, ora comincia a muoversi anche Intesa Sanpaolo. Insieme alla Cassa Depositi e Prestiti. Parola di Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale di Venezia, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno portuale ha annunciato l’interesse per il terminal off-shore della banca guidata da Corrado Passera e dell’ «agenzia» controllata dal ministero dell’Economia. Il porto d’altura dovrebbe rilanciare e rendere più competitivo lo sbocco al mare della Serenissima. «Banca Intesa e la Cassa Depositi e Prestiti — ha detto Costa — si sono impegnate ad assistere nella parte finanziaria e legale il progetto» . Per ora ci sono i 400 milioni di euro dirottati dal Mose al porto, ma il costo dell’opera è stimato in 1,3 miliardi di euro, che a Venezia contano di racimolare tra i privati. Per fine 2011 sarà terminata la parte tecnica, cui seguirà il bando internazionale. E mentre Venezia aspetta che il governo dia il via libera per sbloccare i fondi ex Mose, il porto sloveno di Capodistria (privato) — che finora contendeva alla Serenissima la leadership nell’Alto Adriatico — veleggia veloce verso il raddoppio della propria capacità . Lì ha mostrato interesse Unicredit. E la battaglia dei porti si complica. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il modello StM per la partita Italia Francia (g. str.) Non c’è solo il primo azionista ad essere italofrancese alla StMicroelectronics. Dietro il grande socio pubblico (al 27,5%), metà italiano e metà transalpino, ci sono tante società di gestione con quote che -secondo risultanze di inizio anno -vanno dal 6,12%dell’americana Brandes alle partecipazioni (più contenute) di Eurizon (Intesa Sanpaolo) o delle francesi Amundi e Natixis. Il numero uno di StM Carlo Bozotti, che ieri ha presentato la trimestrale (2,5 miliardi di dollari di ricavi e 170 milioni di utili), preferisce non commentare gli ultimi round sullo scenario italofrancese. Piuttosto, il manager ricorda il percorso di joint venture (paritetica) che dal 1987 ha trasformato due «società vulnerabili» — per usare le sue parole— come l’italiana Sgs e la francese Thomson Semiconducteurs nella multinazionale di oggi. Che ieri ha chiuso le contrattazioni con un calo di giornata del 4%, che diventa un +10,5%se si considera l’ultimo anno.
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