by Editore | 28 Aprile 2011 6:00
Confondono la sfera pubblica con la sfera privata e l’interesse personale con il bene generale. Credono che i vertici internazionali siano un club e vedono nell’avversario politico un nemico. Hanno la segreta convinzione che i loro difetti siano le loro virtù. Sono dunque fatti per intendersi? No. Due uomini politici possono trovare solidi punti d’intesa quando sono legati da una comune visione o ideologia, come accadde fra Alcide De Gasperi e Robert Schuman, Bettino Craxi e Franà§ois Mitterrand. Ma quando hanno caratteri eguali e interessi diversi, la somiglianza crea più conflitti che intese. Se Berlusconi e Sarkozy hanno trovato qualche accordo nel loro ultimo incontro, questo si deve soprattutto alla comune constatazione che lo scontro permanente fra i due Paesi avrebbe finito per danneggiare entrambi. Come tutti i grandi giocatori, tuttavia, detestano i pareggi e vorrebbero alzarsi dal tavolo soltanto dopo avere vinto la partita. Possiamo, dopo il vertice romano, parlare almeno di pareggio? Credo che occorra anzitutto sgombrare il campo dai reciproci vittimismi e dal ricorso agli artifici retorici con cui i due Paesi infarciscono spesso i loro rapporti. L’Italia non è una colonia francese e la Francia non potrebbe colonizzare la penisola neppure se lo volesse. Le sue industrie fanno in Italia ciò che le industrie italiane farebbero volentieri (e in alcuni casi hanno fatto) al di là delle Alpi. Le due diplomazie possono collaborare o rubarsi il posto a tavola, a seconda delle circostanze e degli interessi, esattamente come accade tra Francia e Gran Bretagna o Francia e Germania. Né più né meno. Esiste tuttavia una fondamentale differenza. Quando agiscono in Francia, soprattutto sul piano economico, gli italiani trovano di fronte a sé aziende e istituzioni che rispondono alla politica di un governo generalmente unito e solidale. Quando agiscono in Italia, i francesi hanno spesso l’occasione di sfruttare le divisioni e i bisticci italiani. Tralascio gli esempi storici di questa vecchia maledizione italica e mi limito a ricordare che i recenti successi di grandi gruppi francesi nella penisola sono molto spesso dovuti all’incapacità dei concorrenti italiani di trovare un accordo. Come nel caso di Carlo VIII (il re di Francia che nel 1492 scese nella penisola per rispondere all’appello di Ludovico Sforza), i francesi vincono perché qualcuno in Italia considera la vittoria dello straniero preferibile al successo del concorrente italiano. È accaduto nel caso di Mediobanca, Edison, Assicurazioni Generali, Banca Nazionale del Lavoro, oggi forse Parmalat, domani forse Alitalia. Accade quando il governo è incapace di fare fronte comune. Accade quando gli industriali preferiscono litigare piuttosto che lavorare insieme. Accadde quando le opposizioni preferiscono mandare a casa il governo piuttosto che dargli una mano a vincere una partita nazionale. Rimproverare la Francia in questi casi è soltanto l’alibi che ci permette di ignorare le nostre responsabilità e di non trarre da ciò che è accaduto una lezione per il nostro futuro.
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