Lo sbarco diventa un inferno due morti a pochi metri dalla riva

by Editore | 14 Aprile 2011 6:49

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PANTELLERIA – Urlano, si disperano, si tengono per mano. Un uomo stringe al petto il suo bambino seduto sul bordo della barca che ondeggia e sbatte sugli scogli. In quella bara di legno di colore azzurro e bianco che ancora galleggia sono ammassati oltre 200 subsahariani disperati che, dopo giorni di navigazione abbastanza tranquilla, ormai si sentono in salvo perché, finalmente, sono a pochi metri dalla costa. E proprio quando il mare con le sue insidie sembra lontano, quando ormai la felicità  ha quasi un profumo vero ecco che si scatena l’inferno. Il barcone si arena sugli scogli, 165 uomini, 11 donne e sei bambini finiscono in acqua. La salvezza, la vita è soltanto a pochi metri di distanza. Sugli scogli marinai, carabinieri e pescatori di Pantelleria assistono impotenti alla tragedia, poi si tuffano in mare con le divise ancora addosso. In acqua, le onde non sono altissime ma che li sommergono, appaiono e scompaiono corpi. Corpi di bambini, di donne, di uomini che tentano disperatamente di sopravvivere. Bevono acqua, si aggrappano l’uno all’altro. Un carabiniere strappa dalle onde un piccolo che sta per annegare, lo prende letteralmente per i capelli. «Quando ho visto quella bolgia umana in mare, un mare che li stava uccidendo, non ho avuto un attimo di esitazione, è stato istintivo, mi sono subito tuffato così come mi vedete, con tutta la divisa, verso quel bambino che annaspava. Lo avevo a portata di mano, ma la sua testolina appariva e spariva. Poi l’ho rivisto per un istante, ho fatto quattro bracciate con un po’ di fatica a causa della divisa che portavo addosso, l’ho acchiappato e non l’ho lasciato più». Il carabiniere scelto, Mimmo Lo Giudice, 30 anni, originario di Taormina (Messina) e da due anni in servizio alla stazione dei carabinieri di Pantelleria, appena a terra consegna ad altre mani quel batuffolo nero di appena tre-quattro anni e si rituffa in mare. E con lui altri carabinieri, altri marinai della capitaneria di porto, sono secondi interminabili che possono far vivere o morire. Fanno avanti e indietro con corpi presi al volo, con le cime che lanciano in acqua ed alle quali quei disperati si aggrappano. E li salvano quasi tutti, tranne due donne, due donne che erano con i loro bambini e che adesso sono orfani. È l’ultima tragedia, in ordine di tempo, di questo colossale esodo che dal Nordafrica porta verso Lampedusa, Pantelleria, le coste siciliane, migliaia e migliaia di disperati che fuggono dalla Tunisia, dalla Libia, dall’inferno di casa loro. Alcuni sopravvissuti dicono che in acqua è finita altra gente, ma fino a tarda sera non sono stati ritrovati altri cadaveri. «C’era un giovane nigeriano che era zoppo, non camminava bene ed è finito in acqua con gli altri, ma qui non c’è – racconta un etiope che si è salvato – è scomparso». La tragedia si è consumata poco dopo l’alba quando ormai il barcone con il suo carico di disperati era giunto all’ingresso del Porto di Pantelleria. La barca era affiancata da due motovedette della Capitaneria di Porto dell’isola che l’avevano prelevata a circa 10 miglia, scortandola e facendo da scudo all’imbarcazione che non governava. I migranti erano partiti quattro giorni fa dalle coste libiche diretti a Lampedusa. Ma in mare avevano perso la rotta ed erano finiti a 22 miglia da Pantelleria. Appena giunti al porto, con la motovedetta della capitaneria che lo precedeva, il barcone ha cambiato improvvisamente direzione e si è arenato sul fondo sabbioso ma davanti ad una bassa scogliera. Il barcone ha cominciato ad ondeggiare, a bordo hanno iniziato ad agitarsi e a gridare chiedendo aiuto. Sono finiti in mare, uno dopo l’altro come agnelli all’altare.

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