Liti, sfide e lamentele: i mille fronti del Cavaliere
ROMA — Visto che si paragona a Giobbe, che si fregia di avere il sole in tasca, che «è nato con la camicia» come dice Mariastella Gelmini, che «è un fuoriclasse di longevità politica» per citare Daniela Santanchè, che «ha doti diplomatiche miracolose» (Denis Verdini), visto tutto questo la domanda che resta è la seguente: esiste un limite di problemi, di processi, di fronti aperti, di guai, di casi Scajola o Tremonti, che persino Berlusconi non è in grado di reggere? La storia recente ha dimostrato che regge all’impensabile. Anche a sé stesso. Con le parole si distrugge e un attimo dopo con le parole crea consenso, si rialza. Ogni anno nei Palazzi romani si scommette sulla sua fine, i corrispondenti dei quotidiani stranieri fanno il conto alla rovescia, poi si scopre che il Cavaliere incarna un caso classico di pelle d’orso venduta in anticipo. La sua pelle politica hanno creduto di averla ottenuta praticamente tutti. L’hanno rivendicata, persino ostentata, anche gli insospettabili. A sinistra e dentro il governo, nel suo staff e fra i suoi amici. «E’ finito» è un sussurro che si coglie anche nel suo cerchio, fra chi gli vuole bene e non lo riconosce più. «E’ bollito» è il titolo recente di un giornale amico. Eppure anche gli amici ciclicamente si ricredono. Ai loro occhi Berlusconi muore e risorge, «è di nuovo in splendida forma, è incredibile» , mentre le aspettative di un legame affettivo si intrecciano al dato di realtà . Ieri poteva essere una giornata molto tesa, ma ad ascoltare i suoi collaboratori la risposta era una sola: «Il governo è compatto, tutto il resto è normale dialettica, la fiducia a Tremonti non è mai venuta meno, anzi» . Nel suo staff, fra le segretarie e i collaboratori, i diplomatici e gli assistenti, vige del resto un meccanismo di luce riflessa: può cascare il mondo ma se il Capo sorride, è sereno, vuole dire che il problema non è grave come appare. E’ un meccanismo affinato negli anni, ma l’esperienza del gruppo è fondata: è capitato di allarmarsi più di lui, di affrontare nel panico una gaffe internazionale o uno scontro con il Quirinale. Ma a forza di sorprese hanno imparato la lezione, non c’è motivo di scomporsi, anche di fronte a una tempesta perfetta, se non lo fa lui. Un elenco dei problemi politici del capo del governo è impossibile. Ieri a Palazzo Grazioli c’era Scajola, che ha posto più di un problema sulla sua collocazione. Poi Tremonti, con un altro carico di fibrillazioni non inedite, esternate però a chi ha quattro processi penali in corso, con imputazioni gravi; a chi ha una contesa civile con il gruppo De Benedetti che potrebbe essere un duro colpo per le finanze delle sue aziende; a chi ha un partito dove tre persone su quattro vorrebbero eliminare il coordinatore Denis Verdini, e dove i meno ottimisti dicono che «non funziona nulla» . Ma in fondo queste sono bazzecole se ogni giorno qualcuno lo chiama per accusare qualcun’altro e per dire che Tremonti deve essere ridimensionato. Se lui stesso riconosce che la sua immagine all’estero risulta appannata. Se un terremoto in Giappone lo costringe a rinunciare al nucleare. Se va al governo e lo coglie la crisi finanziaria più profonda degli ultimi tempi; se degli alleati europei che hanno interessi diversi dai suoi intervengono in Libia e mandano in fumo un pezzo della sua diplomazia commerciale. Se il processo contro Nicole Minetti ed Emilio Fede rischia di essere un calvario sterminato, persino peggiore del processo che lo vede accusato. Se ogni anno sceglie di fare delle leggi che lo costringono a vivere con l’ansia del parere del Colle, di un promulgazione sempre incerta. Ieri è stato Giancarlo Galan a tirare l’ultima bordata sul governo, domani chissà . Raccontano che Berlusconi c’è rimasto male, che non se l’aspettava, che non aveva idea dell’intervista concessa da Galan a Il Giornale. E allora avrà anche strillato, magari si sarà depresso per un po’, avrà maledetto un partito di ingrati, «poi però sono certo che ha svuotato il cervello, perché una delle sue capacità più straordinarie è proprio quella di liberarsi dall’ansia dei problemi» , dice il suo medico, Alberto Zangrillo. Si può obiettare che in molti casi il problema resta, non risolto. Tremonti avrà minacciato le dimissioni almeno una mezza dozzina di volte, in questa legislatura. Ma questo è un altro discorso. Tre anni fa Silvio Berlusconi aveva appena chiuso un colloquio con il Quirinale: era caduto Prodi, qualcuno credeva possibile un governo Marini, lui era invece in attesa del voto. Rientrato a casa sua gli ospiti chiesero com’era andata con Napolitano: lui provò a raccontare ma non ci riuscì; chiuse gli occhi, li riapri e con lo sguardo, in qualche modo, chiese aiuto ai presenti: «Cambiamo discorso, vi racconto una storiella sulle donne, va bene lo stesso?» . Parlò per dieci minuti, rise a crepapelle, mimò l’impossibile. In apparenza era felice, si era dimenticato delle consultazioni, aveva la testa libera dal problema. Pronto a ripartire.
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