Libia, Gheddafi ora tratta “Finiscano i combattimenti”

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LONDRA – Mentre la guerra fa un passo avanti e un passo indietro, può venire il sospetto che alla fine sarà  la diplomazia a sbloccare la crisi in Libia producendo l’esito desiderato, ovvero l’uscita di scena di Gheddafi. Il quale, ieri, ha giocato una nuova carta a sorpresa: l’invio ad Atene, ovvero presso un paese della Nato, di un suo emissario, portatore di un messaggio personale del Colonnello. Che cosa abbia voluto far sapere, il raìs libico, ai suoi nemici, non è stato reso immediatamente pubblico, ad eccezione di un appello alla «fine dei combattimenti», sia con i ribelli che con la comunità  internazionale; ma sembra la conferma che una trattativa si sia messa in moto e che da questo negoziato potrebbe arrivare la soluzione che il conflitto militare, i raid aerei, gli avanti-e-indietro degli insorti e delle truppe fedeli al Colonnello lunga la litoranea tra Bengasi e Tripoli, non hanno ancora prodotto e forse non potrebbero produrre ancora per lungo tempo. Quando si è diffusa la notizia che Abdelati Obeidi, viceministro degli Esteri libico, aveva lasciato il proprio paese entrando in Tunisia per via di terra, e da lì era quindi decollato per Atene, le prime supposizioni facevano pensare a una seconda defezione illustre all’interno del governo di Tripoli: come Mussa Kussa, il ministro degli Esteri fuggito a Londra, anche il suo vice aveva preso la strada dell’Occidente, abbandonando il Colonnello, hanno scritto inizialmente le agenzie di stampa. Ma poi, dalla Grecia, è giunta una versione differente e ufficiale: «Il governo libico ci ha richiesto di potere mandare nel nostro paese un inviato con un messaggio per il primo ministro George Papandreu ed è per questo che il viceministro Obeidi si trova ora ad Atene», ha dichiarato un portavoce verso sera. Niente fuga, dunque, bensì un nuovo capitolo della trattativa. In concreto, l’obiettivo principale sarebbe assicurare a Gheddafi e alla sua famiglia un esilio in qualche nazione sicura, dove il Colonnello non rischi né di essere arrestato e processato dal tribunale dell’Aja, né di finire nel mirino dei suoi oppositori. Sempre che il raìs, si sia davvero convinto che la sua posizione a Tripoli è comunque insostenibile. Ma forse non è del tutto casuale che l’emissario sia il vice ministro degli Esteri, colui che era sino a pochi giorni fa il braccio destro del ministro Kussa. Forse anche Kussa ha giocato da lontano un ruolo in questa possibile svolta diplomatica. L’ex-ministro continua a parlare con funzionari del Foreign Office e dei servizi segreti britannici in una “casa protetta” da qualche parte nel sud dell’Inghilterra. «Do il benvenuto al fatto che Kussa ha lasciato il regime», ha detto ieri alla Bbc il ministro degli Esteri britannico William Hague, «gli ho chiesto di parlare con i miei collaboratori ed è quello che egli sta facendo». Secondo indiscrezioni pubblicate dai giornali inglesi, il governo britannico avrebbe promesso a Kussa asilo politico e immunità  giudiziaria. Ma si moltiplicano le richieste di interrogarlo da parte della magistratura inglese: non solo per l’attentato di Lockerbie, il Boeing della Pan-Am caduto in Scozia nel 1988, 270 morti, ma pure per forniture di armi all’Ira in Irlanda del nord e attacchi contro poliziotti che ne sono diventati vittime. Intanto la Gran Bretagna, come già  Francia e Stati Uniti, si prepara di fatto a riconoscere gli insorti come il legittimo nuovo potere in Libia, e ha mandato a Bengasi a questo scopo Christopher Prentice, l’ambasciatore britannico a Roma (ed ex-ambasciatore a Bagdad). E domani il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini riceverà  a Roma il responsabile della politica estera del Consiglio Nazionale di Transizione libico, Ali Al Isawi. Ma quel che tutti aspettano è la resa – perlomeno diplomatica – di Gheddafi. Finora il raìs ha insistito pubblicamente sulla stessa linea: la rivolta è opera di estremisti islamici e sobillata dall’Occidente, militarmente la situazione rimane sotto il suo controllo, non cederà  il potere per nessuna ragione. Ma se Gheddafi può a volte apparire pazzo, notano fonti diplomatiche a Londra, non avrebbe senso inviare un emissario ad Atene per ripetere queste posizioni. In ogni trattativa, commenta l’esperto di affari internazionali della Bbc, nessuna delle due parti arriva alla fine con le stesse posizioni che aveva all’inizio. L’impressione è che il moltiplicarsi dei canali di dialogo sia la prova di un graduale cedimento da parte di Gheddafi e della sua famiglia. Ma potrebbe anche essere un gioco per guadagnare tempo. È possibile che il raìs libico preferisca uno stallo prolungato alla resa.


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