L’Europa e il dopo Gheddafi

by Editore | 1 Aprile 2011 6:33

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 La risposta dell’Europa e degli Stati Uniti, delle Nazioni Unite e della Lega Araba si è indirizzata anzitutto all’emergenza, agli insorti, alla tragedia umanitaria, alla sicurezza: quando il fumo si sarà  depositato e le popolazioni arabe potranno guardare alla possibilità  di un assetto normale, la comunità  occidentale e soprattutto l’Europa dovranno già  essere pronte ad affrontare il problema della stabilità  a più lungo termine di una regione vasta, popolosa e importante per l’equilibrio del mondo. E contigua all’Unione europea. Il panorama di regimi repressivi tanto diversi, dalla dittatura tribale all’autocrazia familiare, dalla teocrazia fondamentalista ai governi religioso-ideologici, mostra però una nota comune nel patto non scritto tra il potere e i sudditi: questi hanno accettato la sottomissione completa in cambio della promessa, forse solo della speranza, di un avvenire più prospero, di vivere meglio. Il patto è stato violato per decenni, le risorse nazionali non hanno portato benefici tangibili, l’arroganza del potere perpetuava sé stessa. Dalla Tunisia è partito l’inatteso: i media hanno scoperchiato il vaso di Pandora della corruzione, mentre la diffusa condizione di povertà  e disoccupazione accomunava la gente, le promesse improvvisate e le tardive elargizioni non sono servite. Una dopo l’altra, le generazioni più giovani, rese consapevoli, non hanno più atteso. Internet e i cosiddetti social networks hanno dato ai giovani una rete interattiva inarrestabile in tutta la regione. L’intervento in Libia resta pieno d’incognite, l’Egitto, chiave del mondo arabo, resta una polveriera, la Siria ha aggiunto al quadro le sue incognite particolari, il Golfo è lontano e diverso. La questione di fondo che riguarda in primo luogo la sicurezza dell’Europa, quella della stabilità  del Mediterraneo meridionale, ha la massima priorità  e deve essere affrontata dai governi occidentali ancor prima della fine della fase armata la cui durata, pur incerta, non potrà  essere lunga. Le Nazioni Unite hanno escluso l’intervento di forze terrestri, il mondo arabo lo rifiuterebbe aspramente, né alcuna capitale alleata se lo prefigge ragionevolmente. In quest’ottica il “dopo” è molto vicino e la exit strategy deve già  tener conto dei nuovi governanti ancora ignoti con i quali è necessario aprire un dialogo, impiantare una efficace cooperazione per accompagnare la transizione con una politica responsabile ed evitare che si perpetuino il caos e la guerra civile o che il risultato finale sia la somalizzazione. Cosa emergerà  quando il fumo e la polvere si saranno depositati, quali interlocutori avranno i governi occidentali? I militari egiziani e la borghesia tunisina vorranno avviare i loro popoli ad una democrazia, magari non jeffersoniana, ma almeno rispettosa dei diritti umani e del ricambio del potere? E la Libia, rimarrà  uno Stato o si dividerà  nelle tradizionali tre aree? I nuovi governanti che emergeranno dalla rivolta saranno inevitabilmente interlocutori incerti e inesperti, le strutture di governo inaffidabili e screditate. Per questa ragione, occorre sin d’ora pensare a forme di cooperazione economica diverse da quella tradizionalmente indirizzata allo sviluppo e indirizzate invece più direttamente alle popolazioni. Sarebbe saggio che la comunità  internazionale avesse già  un programma immediato d’aiuto post conflict, sia per i classici interventi d’emergenza che per la ricostruzione delle strutture umane e sociali. In secondo luogo, le organizzazioni internazionali e regionali, le banche di sviluppo, gli organismi di volontariato e il microcredito potrebbero fornire la competenza maturata nei decenni in situazioni comparabili. Infine, pilastro principale per l’intervento di maggiore portata dovrebbe essere l’esperienza maturata con successo in Europa Orientale dopo la caduta del muro con la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo che può rivolgersi alla piccola imprenditorialità  che esiste nella sponda Sud e permettere al settore privato di muoversi rapidamente, come sa fare. Altro e più complesso capitolo sono le materie prime, soprattutto energetiche, specie in Libia. In ogni caso, il tempo stringe: mettendo da parte Barcellona e l’Unione per il Mediterraneo che hanno fatto pessima figura, l’Europa non può non volersi protagonista nella costruzione di Paesi vicini stabili e prosperi, condizione della sua stessa sicurezza. Speriamo che l’Europa sappia agire come tale e non si scomponga anch’essa nelle ambizioni e nelle gelosie dei suoi membri.

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