Le poltrone di Cesare passano ai manager “Ma torna l’autonomia dalla politica”

by Editore | 8 Aprile 2011 6:54

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MILANO – Il giorno dopo il grande show down che ha portato alla defenestrazione di Cesare Geronzi dalla “galassia del nord” ci si domanda se e quali saranno le ripercussioni. L’asse tra Alberto Nagel e Lorenzo Pellicioli, che ha confezionato il colpo finale per il presidente, ha funzionato molto bene mixando competenza tecnica e scaltrezza manageriale. Ma ha avuto la fortuna di non aver trovato di fronte a sè avversari altrettanto preparati. «Alla fine per loro la partita è stata più facile del previsto – riferisce chi li ha visti all’opera negli ultimi giorni – dall’altra parte Bollorè si è rivelato un bluff, non avevano neanche contato i favorevoli e i contrari». A ripercorrere oggi, a mente fredda, i passaggi cruciali della vicenda, si evince come la sommossa generale sia scattata sul polverone sollevato dal francese in merito all’operazione con il ceco Petr Kellner. «Se non ci fosse stata quella provocazione difficilmente il fronte si sarebbe compattato – dice un consigliere che però non si è speso in prima linea -. C’è un sistema che da tempo ha bisogno che si urli che il re è nudo». Per molti osservatori l’errore fondamentale di Geronzi è stato quello di non capire la storia delle Generali, una compagnia dove da 170 anni i manager interni hanno sempre contato più dei consiglieri di amministrazione. «Se si fosse mosso in punta di piedi sarebbe rimasto in Generali altri dieci anni», commenta chi conosce molto bene il Leone di Trieste. Ci voleva un Chairman che si adeguasse al management e non viceversa: il presidente di Generali non si è mai intromesso nella gestione operativa. «Fino a sabato scorso Geronzi ha continuato a fare i soliti giochini, nelle partite di potere si è mosso con il solito metodo», è il commento che si raccoglie tra i consiglieri. Solo nel momento del confronto diretto, durato non più di venti minuti, il grande condottiero ha ripreso lo standing di un tempo. «È stato molto svelto a capire che quell’epilogo era la soluzione migliore per lui e anche la convenienza dell’accordo era evidente», riferisce una fonte vicina alle trattative. Poi però si sono impiegate cinque ore per trovare un accordo su come stendere il comunicato stampa, obbiettivamente pieno di ipocrisie che non fanno onore ai partecipanti. Ora si guarderà  a monte e a valle di Generali. La scintilla che ha scatenato la tempesta è partita da Rcs: secondo il fronte dei “normalizzatori” non è possibile che quando traballa la poltrona di un direttore di giornale il presidente di Generali faccia il giro dei palazzi del potere. Da questo assunto, a ben vedere, è partita l’offensiva di Della Valle a fine gennaio. Ora la poltrona rimasta vuota nel patto di Rcs potrebbe essere ricoperta da chi guida il comitato investimenti, solo per rimarcare la differenza con l’importanza che Geronzi assegnava a quella poltrona. «La quota vale solo 25 milioni ma se viene messa in vendita si crea una tempesta politica», dice saggiamente un esperto del patto Rcs. In Mediobanca, invece, entrerà  probabilmente Perissinotto, in modo da rinsaldare l’asse con i manager di piazzetta Cuccia in un incrocio che non ha mai smesso di esistere e che è difficile non sottoporre a critiche. «Adesso bisogna lavorare alla governance di Mediobanca per renderla ancora più autonoma dagli azionisti», è il progetto che il plotone dei normalizzatori ha in testa per i prossimi mesi. Ma l’importante è che tutti si siano mossi tenendo ben lontana la politica, in modo che le decisioni siano prese con la dovuta indipendenza. «Abbiamo ricevuto molte telefonate in queste settimane – confessa un protagonista della vicenda – ma abbiamo preso nota e chiuso la conversazione». È un metodo che nelle stanze di Mediobanca sta prendendo sempre più piede. Il fiume di messaggi e e-mail con cui sono stati sommersi i protagonisti delle vicende di questi giorni sta a dimostrare che il tappo è saltato e che un nuovo corso potrebbe essere alle porte. Ma il tutto è da verificare sul campo.

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