Le istituzioni prima di tutto

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La prima forma di libertà  politica riguarda la discussione in corso sulla riforma della Giustizia. La seconda, l’ondata immigratoria dalla quale siamo sommersi. Della disarmonia istituzionale si è fatto interprete il presidente della Repubblica, che ha convocato al Quirinale i capigruppo di Camera e Senato. Se non ci fosse di mezzo Berlusconi — col suo carico di processi pendenti, di leggi ad personam per evitarli e di polemiche con i pubblici ministeri che lo vogliono processare dando, qualche volta, l’impressione più per tigna che per obbligatorietà  dell’azione penale— quale sarebbe il giudizio delle opposizioni sul progetto del centrodestra di riforma della Giustizia? Quale sia il giudizio sul progetto di riforma — che è legittimo a seconda dell’idea che si ha del sistema giudiziario e dei suoi rapporti con gli altri poteri — rimane, però, un dubbio. Che in gioco non sia una giustizia giusta, ma la capacità  della classe politica di essere classe di governo sia quando governa, sia quando, dall’opposizione, si propone come alternativa. Quella al governo, evitando di compromettere la credibilità  della proposta di riforma con la contemporanea approvazione di altre leggi ad personam (come l’accorciamento dei tempi di prescrizione per gli incensurati); quella all’opposizione, evitando di dar mostra di volersi opporre a una riforma, condivisibile o modificabile, al solo scopo di liberarsi del Cavaliere. Nel pensiero del Settecento e dell’Ottocento, la certezza del diritto coincideva col concetto di libertà  del cittadino di non essere soggetto che alle leggi. La certezza del diritto era subordinata alla condizione che l’autorità  preposta alla interpretazione delle leggi non godesse di una eccessiva discrezionalità . L’esistenza di una Legge fondante si concretava nella gerarchia delle leggi e prefigurava la separazione dei poteri. Oggi, i governi producono leggi variabili nel tempo e applicabili a singoli casi, lo Stato di diritto non è più il governo delle leggi, bensì di uomini dotati di largo potere discrezionale che le interpretano estensivamente; i magistrati partecipano al processo legislativo e esercitano una funzione significativa nell’interpretazione stessa delle leggi attraverso ciò che da noi è chiamato «diritto creativo» . Tutto ciò— indipendentemente dalle vicende giudiziarie della Prima repubblica e, oggi, di Berlusconi — si è concretato nel conflitto fra potere politico e potere giudiziario. da una parte, c’è l’idea di democrazia (Secondo trattato sul Governo di Locke) che — in quanto espressione della sovranità  popolare— non può essere limitata da un potere (quello giudiziario) che da essa non promana direttamente; è l’idea di democrazia plebiscitaria di Berlusconi dopo la trasformazione del sistema politico in senso maggioritario. Dall’altra, c’è l’idea di parità , teorizzata dal costituzionalismo di Montesquieu, fra i tre poteri; che, però, ponendo limiti al legislativo e all’esecutivo, da parte del giudiziario, entra in contraddizione con la sovranità  popolare; è anche l’idea di autonomia, nel proprio ambito, ma non di distinzione e tanto meno di separazione, dei poteri maturata da una parte della magistratura che, in tal modo, si è ritagliata il ruolo di antagonista del potere politico, quale ne sia il colore, ed è percepita da Berlusconi come indebita opposizione al proprio governo. È, dunque, innanzitutto, dal riesame del rapporto fra Stato di diritto e democrazia rappresentativa che dovrebbe partire, da parte sia della maggioranza sia dell’opposizione, la discussione sul confronto fra poteri dello Stato e sulla riforma della Giustizia. D’altra parte, la libertà  che attiene alla Costituzione e quella che riguarda la sicurezza dei cittadini sono certe, convergono e si fondano solo se il governo è stabile, la giurisdizione è impersonale, la dialettica fra i poteri si concreta in un accordo su principi condivisi. Fra questi, la moderazione, secondo Montesquieu, non è tanto una «forma» istituzionale di governo, bensì il «modo» di governare; che, quindi, riguarda sia la maggioranza al governo, sia l’opposizione parlamentare che ne è l’alternativa. Ma non è così. Giovedì, riferiscono le agenzie, «la rissa nell’aula della Camera era ripresa esattamente dove era stata interrotta la sera prima» . E continua. Rischiamo, così, di essere bocciati in cultura istituzionale dall’opinione pubblica mondiale, mentre l’emergenza immigrazione, i sacrifici che la nostra popolazione sta facendo, i costi che stiamo tutti pagando, la latitanza dell’Europa, i vergognosi egoismi della Francia, che respinge gli immigrati alle sue frontiere con noi, ci darebbero ragione.


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