L’economia europea frenata dagli equivoci

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L’Unione monetaria costituisce quindi una risposta logica, seppure radicale, al trilemma, ma non risponde alle serie imperfezioni del quadro istituzionale Ume. Gli economisti hanno sostenuto per decenni che un’unione fiscale fosse un complemento auspicabile, se non indispensabile, dell’Ume. Ora sappiamo che altrettanto importante è un quadro comune per la regolamentazione degli istituti finanziari e per la gestione del loro fallimento. Abbiamo sì un’unione monetaria, ma non abbiamo le istituzioni complementari, mentre è chiaro che l’attuale architettura non assolve allo scopo. Come ci siamo arrivati e che cosa succederà  adesso? Per rispondere può essere utile ricordare ciò che Dani Rodrik ha definito il «trilemma politico ineluttabile dell’economia mondiale». Secondo Rodrik «non è possibile perseguire contemporaneamente la democrazia, la sovranità  nazionale e una integrazione economica globale». L’Ume ha risolto il problema delegando la stesura delle politiche monetarie a una tecnocratica banca centrale, mentre il fatto che non abbia costituito un’unione fiscale o stabilito politiche bancarie comuni si spiega bene con il trilemma di Rodrik. Quanto alla politica fiscale, la combinazione di stati nazionali e di democrazia ha impedito un’unione politica più profonda. A queste spaccature non di breve durata si sono sovrapposti gli effetti della crisi globale e di quella attuale del sistema bancario. Agli occhi dei cittadini, la crisi globale avrebbe dovuto trasformare la Ue in un porto sicuro, e forse questo è ciò che ha spinto gli irlandesi ad approvare il Trattato di Lisbona nel 2009. L’Eurobarometro, però, indica che durante la crisi l’atteggiamento verso la Ue è diventato più negativo, così come si è deteriorata notevolmente la fiducia nelle istituzioni Ue. L’interazione tra una grave crisi economica in molti paesi e la sottostante ostilità  verso l’Ume – dettata sia da appartenenze sociali sia da appartenenze nazionali – potrebbe avere effetti molto potenti, inferiori forse comunque a una cattiva gestione della crisi bancaria, cui si somma quella del debito. Il veto della Bce al tentativo del nuovo governo irlandese di far condividere ai detentori di obbligazioni il prezzo delle misure di risanamento non ha precedenti e fornisce agli euroscettici irlandesi un esempio dell’attuale deficit di democrazia. In Finlandia e altrove, i contribuenti si rivoltano contro l’idea di dover essere loro a risolvere i problemi dei partner spendaccioni. Riconoscere che abbiamo di fronte una crisi del sistema bancario europeo per la quale occorrono soluzioni europee contribuirebbe a cambiare la percezione, così come aiuterebbe se la Ue smettesse di concentrarsi sulla tassazione delle imprese in Irlanda e sollecitasse, in cambio di un abbassamento dei tassi del prestito a questo paese, un abbassamento del livello di concorrenzialità  in materia di regolamentazione finanziaria. Non si può dire ancora se a lungo andare la Ume sopravvivrà  a un protrarsi di questo status quo. I governi hanno finora mostrato la tendenza a confondere le acque sui difficili quid pro quo che i trilemmi politici implicano, ma questa crisi potrebbe forzarli ad affrontarli di petto. Quello che succederà  allora non è dato saperlo. *Professore di Economia al Trinity College di Dublino (Traduzione di Guiomar Parada)


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