L’addio del là­der maximo ma il partito resta ai vecchi

by Editore | 20 Aprile 2011 6:35

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L’AVANA – Il comandante en jefe fa il suo ingresso alle dieci precise e i mille delegati scattano in piedi applaudendo freneticamente. Fidel Castro cammina a fatica, lo sorregge per un braccio un giovane aiutante, si siede al posto d’onore della tribuna, abbraccia il fratello Raul, applaude a sua volta. Veste una tuta blu a bande bianche con il logo della Fila sopra una camicia a scacchi il vecchio rivoluzionario, un abbigliamento casual che contrasta con la guayabera bianca stirata di fresco di Raul, con i vestiti da festa degli altri leader, con le uniformi dei generali. Da ieri mattina non è più – dopo mezzo secolo esatto – il capo di uno dei pochi partiti comunisti rimasti al potere nel mondo. Era una decisione già  presa da tempo, lui stesso aveva scritto un mese fa che da quando nel 2006 si era gravemente ammalato non era più di fatto il segretario del Pcc; ma nella simbologia e nei riti comunisti c’è sempre bisogno del timbro ufficiale e solo da ieri el compaà±ero Fidel è diventato (per la prima volta nella sua vita) un semplice militante del partito. «Credo di aver avuto sufficienti onori, mai ho pensato di vivere così tanti anni. I nemici hanno fatto il possibile per impedirlo, hanno cercato di eliminarmi innumerevoli volte». Non ci sono riusciti e Fidel Castro Ruz ha governato cinquant’anni come un padre-padrone assoluto, nel bene e nel male di una Revolucià³n che incendiò il mondo, che affascinò e deluse. E che oggi, dopo mezzo secolo di regime autoritario e una crisi economica che ha portato l’isola «sull’orlo dell’abisso» (Raul dixit), sancisce come ufficiale la nuova politica economica e le timide riforme che negli ultimi anni hanno aperto all’iniziativa privata. «Raul sapeva – ha scritto Fidel alla vigilia della sessione finale del congresso – che non avrei accettato un ruolo nel partito. Mi ha sempre chiamato primo segretario e comandante in capo, funzioni che delegai quando mi ammalai gravemente. Non ho mai cercato di esercitarle neanche quando recuperai in modo considerevole le capacità  di analizzare e scrivere». Naturalmente Fidel non sarà  mai un militante comune e continuerà , come ha fatto dal 2006, a consigliare e suggerire il fratello, che da ieri ha preso il suo posto. Se c’è una novità  in questo passaggio di consegne è che le divergenze tra i due, di cui tanto si è discusso in passato – Raul e i «raulisti» più pragmatici e aperti alle riforme, Fidel e i «fidelisti» più ideologici e conservatori – sono oggi meno evidenti. Il comandante en jefe ha dovuto prendere atto che qualche concessione al capitalismo andava fatta e lo ha appoggiato senza (evidenti) riserve. In compenso mantiene i suoi uomini più fidati ai vertici del partito. Si chiude (solo formalmente) l’era di Fidel ma la leadership cubana, in barba alle promesse di ringiovanimento, resta saldamente in mano ai grandi vecchi. La proposta di limitare a due mandati di cinque anni le cariche politiche resta in piedi, ma se ne occuperà  la prossima conferenza del partito convocata per il gennaio 2012. Nessuna sorpresa dal nuovo organigramma: Raul (80 anni) primo segretario, numero due l’ottantenne José Ramà³n Machado Ventura (guerrigliero nella Sierra Maestra e nel 1960 era già  ministro della sanità ), numero tre Ramiro Valdes (78 anni). Le uniche novità  di rilievo (per gli appassionati di cubanologia) sono i tre nuovi membri (su 15) del politburo. Mercedes Lopez Acea, l’unica donna («ma dovremo eleggerne di più», ha detto Raul), Abel Izquierdo Rodriguez e soprattutto Marino Murillo, un cinquantenne che dovrebbe essere l’uomo-chiave per la riforma economica. Qualcuno aveva ipotizzato l’ingresso nel comitato centrale – dove Raul ha fatto eleggere molti militari e molte donne («sono il 41,7 per cento») di un membro della famiglia Castro. Previsione azzeccata, è stato eletto Luis Alberto Lopez-Rodriguez Callejas, marito di Deborah Castro Espin e genero di Raul. Solo il tempo dirà  se è il primo passo verso una successione familiare. Senza cambiamenti nella leadership, le vere novità  del congresso riguardano le scelte economiche. «Non permetteremo mai il ritorno del capitalismo», ha enfatizzato Raul, ma qualche passo verso l’economia di mercato verrà  fatto. I cambiamenti più rilevanti riguardano la possibilità  di vendere (e comprare) case e automobili e le nuove regole (ancora tutte da definire nel dettaglio) per dare impulso all’iniziativa privata. Sono già  130mila i contadini che hanno avuto in dote dallo Stato terreni coltivabili negli ultimi anni e sono 171mila le licenze rilasciate per aprire piccole imprese (tassisti, barbieri, ristoranti). Secondo le previsioni nei prossimi cinque anni 1,8 milioni di cubani (su una forza lavoro totale di cinque milioni) saranno impegnati nel settore privato. «Andremo avanti gradualmente, ma non torneremo indietro», ha garantito Raul. «Non dobbiamo avere precipitazione», ha chiosato Machado Ventura. Che negli ultimi tempi le cose siano cambiate è abbastanza evidente. Solo negli ultimi due mesi all’Avana sono stati aperti decine di paladares, i ristoranti privati che formalmente dovrebbero essere a conduzione familiare e non avere più di venti posti. Anni fa venivano chiusi se non rispettavano le regole, adesso sono tutti tollerati. Nelle strade si possono vedere automobili e Suv nuovi di zecca, ci sono tassisti che hanno l’Audi o la Mercedes. Perché queste novità  non restino limitate a una borghesia nascente (e abbiente) ma decisamente minoritaria dovranno essere eliminati i troppi vincoli burocratici e ideologici che esistono. Non sarà  facile. Raul lo ha promesso, ma avrà  bisogno di tutto il carisma di Fidel. Perché il vecchio rivoluzionario lascia la scena, ma per tutti sarà  sempre il comandante en jefe.

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