by Editore | 27 Aprile 2011 7:11
ROMA – Berlusconi e Bossi si sono già parlati ieri mattina, prima che iniziasse il vertice italo-francese. Una telefonata non proprio amichevole, con al centro le nuove regole d’ingaggio dei piloti italiani in Libia, che non ha portato ad alcuna schiarita. Tanto che ai ministri presenti a villa Madama il premier si è sentito in obbligo di fornire una rassicurazione: «Tranquilli, tra stasera e domani ci riparlo, cercherò di spiegargli bene la cosa. Umberto fa così per prendere voti, ma capirà ». Il fatto è che stavolta Bossi ha capito benissimo e non sta al gioco del «tutto a posto» con cui il Cavaliere ha provato a disinnescare la polemica interna alla maggioranza. In via Bellerio tutto lo stato maggiore della Lega è in fibrillazione e non c’è solo la questione della Libia, visto che viene criticata la linea di «totale sudditanza» di Berlusconi a Sarkozy anche sul dossier Lactalis-Parmalat, sull’energia, sull’immigrazione. Quando nel pomeriggio di ieri le agenzie hanno battuto le dichiarazioni rassicuranti del premier, al Senatùr è andato di traverso il Garibaldi che stava fumando nel suo ufficio. Con Bossi c’era il ministro Calderoli, che lunedì sera aveva appreso solo dal comunicato del presidente del Consiglio la novità dei bombardamenti in Libia. Decisamente troppo. Così nella Lega ora ricordano che, durante l’ultimo consiglio dei ministri, era stato proprio Calderoli a chiedere di intervenire dopo che La Russa aveva annunciato che i nostri aerei avrebbero dovuto non solo «accecare i radar», ma anche «prepararsi a bombardare i siti militari di Gheddafi». Ma era stato proprio Berlusconi a prendere la parola per smentire tutto. La Lega ora si aspetta un chiarimento dal premier. Anche perché tra quindici giorni si vota per le amministrative e la questione “pacifista”, molto sentita anche dall’elettorato del premier, è un terreno ideale per la “competition” interna all’alleanza. Non a caso dissensi sono emersi anche nel Pdl, dall’ala cattolica di Giovanardi, Mantovano e Baccini. «Da qui al voto – ha spiegato Bossi ai suoi – dobbiamo distinguerci su tutto dal Pdl». Per questa stessa ragione il premier è convinto che, alla fine, Bossi farà un po’ la voce grossa ma senza strappare. Nell’entourage del Cavaliere si minimizza: «Non ci sarà una spaccatura tra noi e la Lega». Anche perché, ne sono convinti a palazzo Chigi, non si arriverà a un nuovo voto del Parlamento. Frattini ha fatto presente al premier che le mozioni approvate un mese fa dal Senato e dalla Camera già contemplavano l’uso di «tutti i mezzi necessari» per adempiere alla risoluzione dell’Onu. Quindi, al massimo, i leghisti potranno alzare la voce nel Consiglio dei ministri. Il fatto è che, come spesso accade, dietro la Lega anche in questa occasione si staglia l’ombra di Giulio Tremonti. Raccontano che ieri, al vertice di villa Madama, il ministro dell’Economia se ne sia stato in disparte per tutto il tempo. Non deve avergli fatto piacere vedere la sua strategia anti-scalate fatta a pezzi in meno di mezz’ora dal Cavaliere, pronto a riconoscere le ragioni del «libero mercato», accettando di buon grado la teoria francese dei grandi gruppi franco-italiani. Una strategia opposta a quella di via XX Settembre, dove si stavano mettendo a punto gli argini giuridici e finanziari per evitare che Parigi si prendesse quel poco che è rimasto dei gioielli italiani. Il decreto che fissa le regole per individuare le società di interesse nazionale, oggetto di possibile partecipazione da parte della Cassa depositi e prestiti, deve essere ancora approvato dalla Camera ma rischia ormai di arrivare troppo tardi. Quando Lactalis si sarà già “bevuta” Parmalat con la benedizione del Cavaliere. Così ora Tremonti medita la sua vendetta, in accordo con la Lega. Il decreto sul rifinanziamento delle missioni all’estero scade infatti a giugno e bisognerà trovare le risorse per coprire i costi aggiuntivi della guerra in Libia. Come? «Berlusconi – ha minacciato ieri Calderoli – sarà costretto ad aumentare le tasse sulla benzina».
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