La politica delle tribù

by Editore | 9 Aprile 2011 5:55

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Si perde di vista il fatto che c’è anche un altro processo assai rilevante in corso. È più silenzioso, meno spettacolare ma, forse, persino più preoccupante. Riguarda la decomposizione delle forze politiche esistenti. Era già  da tempo frantumato lo schieramento di sinistra e non ci sono lì prospettive di ricomposizione. La novità  è la disarticolazione in corso nel Pdl, la formazione dominante del centrodestra. Lo strappo di Gianfranco Fini è stato solo l’inizio. Oggi, se si guarda al Pdl, si vede che è tutto un fiorire di raggruppamenti autonomi (da Scajola a Micciché ad altri) di variabile e mutevole consistenza. Il processo centrifugo non risparmia il livello locale: in vista delle elezioni amministrative, in molte situazioni, proliferano i candidati sindaci di centrodestra in lotta fra loro. La crisi investe il centro come la periferia. La classe politica, a destra e a sinistra, sembra disintegrarsi in una miriade di piccoli potentati autonomi. Questo sfarinamento pone ipoteche pesanti, forse più pesanti della stessa radicalizzazione, sul futuro della democrazia italiana, ne compromette, nel medio termine, la governabilità . La frammentazione ha una spiegazione relativamente semplice anche se, purtroppo, non ci sono, per contrastarla, rimedi altrettanto semplici. Bisogna, per capire, risalire all’epoca della distruzione dei partiti «storici» , ai tempi delle inchieste giudiziarie dei primi anni Novanta. Si dissolsero allora formazioni politiche che avevano una lunghissima storia alle spalle e un antico radicamento nel Paese. Era la premessa di una permanente frammentazione del sistema partitico. In sintesi: se non ci sono i partiti, sostituiti da fragili contenitori elettorali, si torna, con gli aggiornamenti del caso, alla politica dei notabili dell’Italia pre-fascista o della Terza Repubblica francese. Ad attutire e a mascherare il fenomeno intervennero allora la legge elettorale maggioritaria e, soprattutto, l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi nel 1994. Spaccando in due il Paese, e creando una grande formazione (un grande contenitore elettorale) di centrodestra, Berlusconi impedì che la fine del vecchio sistema partitico dispiegasse tutti i suoi effetti. Era la sua forte leadership, la sua fama di invincibile macchina da guerra elettorale, a garantire la tenuta e la relativa coesione del contenitore. Adesso che quella leadership vacilla e che molti, a torto o a ragione, pensano che essa sia entrata nella fase declinante, la perdita di coesione non può più essere fermata. Il notabilato che Berlusconi aveva raccolto intorno a sé è costretto a rimettersi in gioco, deve andare alla ricerca delle vie migliori per assicurarsi la sopravvivenza politica. Senza attribuire virtù taumaturgiche alle sole leggi elettorali, va detto che il sistema oggi in vigore, per come è congegnato, non serve per disincentivare lo sfarinamento politico. Non si sfugge al circolo vizioso: un accordo fra le principali forze politiche per interventi anti-frammentazione (come una nuova legge elettorale) sarebbe necessario, ma quelle forze politiche sono ormai troppo frammentate per poterlo stipulare.

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