La nostra generazione oltre la linea d’ombra

by Editore | 20 Aprile 2011 6:06

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Ci siamo abituati a immaginare un’intera generazione – quella nata tra la metà  degli anni Sessanta e la metà  dei Settanta – come qualcuno, o qualcosa, che ininterrottamente si interroga sulla stessa questione: “Essere o non essere”. Affine al principe di Danimarca, la generazione TQ (ovvero quella dei Trenta-Quarantenni) sembra oscillare tra tesi contrapposte e, incapace di sceglierne una, farebbe di questa irresolutezza un alibi. Amleto – forse il primo eroe tragico per il quale sapere non significa agire – sa chi ha ucciso suo padre ma non si vendica; potrebbe eppure esita, procrastina, si sottrae. Vivacchia, per stare alla rilettura che ne faceva Carmelo Bene. Come Amleto anche la generazione TQ dovrebbe, potrebbe, vorrebbe. A partire da tutto ciò, Generazione TQ. Oltre la linea d’ombra – che nasce per iniziativa di Giuseppe Antonelli, Mario Desiati, Alessandro Grazioli, Nicola Lagioia e del sottoscritto, nonché grazie all’ospitalità  della casa editrice Laterza – vuole essere un tentativo di mettere a fuoco, attraverso una discussione che coinvolgerà  oltre cento tra scrittori, editori e critici nati tra il 1963 e il 1981, la sostanza culturale e temperamentale della quale siamo fatti. Del resto il condizionale è il modo attraverso cui si descrive l’incertezza. Ma questo senso di provvisorietà  non si risolve entro i limiti della lingua, irradiandosi invece a trecentosessanta gradi per descrivere una maniera di stare al mondo (o perlomeno di stare in Italia). Soltanto che alla vita condizionale, storicamente, si è reagito tramite un movimento individuale e collettivo in grado di generare uno svezzamento. E la materia di questo movimento è stata a lungo, in particolare nella seconda metà  del Novecento, la rabbia. In Amleto l’intelligenza sembra aver preso il posto della rabbia. Diversamente da alcune straordinarie incarnazioni cinematografiche del furore – quello sobrio di Antoine Doinel in I quattrocento colpi, quello epilettico di Alessandro in I pugni in tasca e quello selvatico di Kit Carruthers in La rabbia giovane – la generazione TQ sembra essere cresciuta convertendo la rabbia (quella più intelligente e luminosa, quella che sapeva farsi progetto) in un’esasperazione coatta e senza scampo. Sempre più mite, paradossalmente addomesticata. A questo punto la domanda è: cosa accade quando, al permanere del conflitto, viene meno il grimaldello della rabbia? Cosa accade, cioè, se e quando la rabbia è finita (o è sfinita) e non riesce più a valere da strategia per venire fuori dalla vita condizionale? Cosa accade in sostanza a una generazione che corre il rischio di “vivacchiare” restando eternamente preadulta? O forse esistere in questo vuoto di baricentro, dove l’esperienza è puntiforme se non pulviscolare, non è un rischio ma un’occasione? Queste alcune tra le domande e i ragionamenti che porterò con me all’appuntamento romano del 29 aprile, cercando connessioni e risonanze nelle domande e nei ragionamenti di chi sarà  presente. Per provare a capire se la pazzia di Amleto – la coincidenza tra sapere e linguaggio, la divaricazione tra sapere e agire – è davvero anche la nostra. Per verificare collettivamente se a imbozzolare in se stesso il principe di Danimarca è la percezione delle due alternative, “l’essere” e il “non essere” o se invece Amleto – e noi con lui – sprofonda nel forellino apparentemente microscopico eppure abissale della disgiuntiva o, nel pozzo senza fondo delle potenzialità : “Essere o non essere”. Sembra infatti che la risorsa straordinaria della generazione TQ sia anche il suo limite: al pari di Amleto abbiamo la capacità  di far esistere non semplicemente due ma duemila ipotesi alternative. Il mondo ci si dispiega di fronte come un ventaglio aperto. L’intelligenza si proietta famelica in avanti, mentre la volizione concreta, la necessità  di compiere azioni, pare arretrare e atrofizzarsi. Come Amleto veniamo sgominati dalla cognizione delle potenzialità , da un buchetto, una bruciatura di sigaretta. Serve dunque incontrarsi, discutere e cercare di capire se esiste un’alternativa reale e percorribile a questa o abnorme che si allarga davanti ai nostri occhi, al foro bianco nel quale sprofondiamo, il glaucoma nel quale la nostra intelligenza si è trasformata.

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