by Editore | 18 Aprile 2011 6:14
Compiuta la prima fase della sua alta missione con l’edificazione di un muro a tutela della sua persona, il presidente del Consiglio annuncia ora una inquietante e pericolosa “fase due”. Possiamo legittimamente chiamarla “decostituzionalizzazione”. Questo è il tratto che unisce le proposte che dovrebbero segnare l’imminente stagione legislativa, nella quale si vuole sfruttare la spinta propulsiva delle radiose giornate del processo breve. Si tratta dell’«epocale» riforma costituzionale della giustizia, del minaccioso ritorno della legge bavaglio sulle intercettazioni, della disciplina ideologica e proibizionista del testamento biologico. La riforma della giustizia, infatti, vuole in primo luogo rendere disponibile per i voleri della maggioranza l’intero sistema giudiziario. Questo non avviene soltanto attraverso una crescita complessiva del peso della politica in snodi fondamentali. Il punto chiave della riforma è rappresentato dal fatto che materie oggi affidate ad una diretta garanzia costituzionale vengono trasferite alla legislazione ordinaria. Due esempi. Nell’attuale articolo 112 della Costituzione si stabilisce che: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale». La riforma proposta dal Governo aggiunge le parole «secondo i criteri stabiliti dalla legge»: sarà dunque la maggioranza del momento a stabilire in quali casi il pubblico ministero può indagare. Nell’attuale articolo 109 si stabilisce che «l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria». La riforma proposta dal Governo prevede che «il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge»: sarà dunque la maggioranza del momento a determinare le informazioni di cui i magistrati potranno disporre. Il mutamento è radicale, la decostituzionalizzazione è compiuta. Ciò che la Costituzione aveva voluto sottrarre alla possibile prepotenza delle maggioranze, per garantire l’autonomia della magistratura, dovrebbe essere assoggettato proprio a questa ipoteca. Ed è sempre la decostituzionalizzazione a comparire negli altri casi. Sappiamo bene che la stretta sulle intercettazioni colpisce uno dei fondamenti della democrazia, la libertà d’informazione di cui parla l’articolo 21. E la proposta di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (il testamento biologico) è congegnata in modo tale da espropriare ogni persona del diritto fondamentale all’autodeterminazione, riconosciuto dalla Corte costituzionale sulla base degli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione. Per chiudere definitivamente questa partita, l’obiettivo finale è indicato appunto nell’odiata Corte costituzionale, con la quale il presidente del Consiglio annuncia un definitivo regolamento di conti, probabilmente affidato ad una legge che escluderebbe la possibilità di decidere con il voto della maggioranza dei suoi componenti, sostituito da un quorum particolarmente elevato. Una mostruosità giuridica, sconosciuta a ogni civile sistema giuridico, che produrrebbe l’assurdo effetto di mantenere in vigore leggi che la maggioranza dei giudici costituzionali ha ritenuto illegittime. Il risultato complessivo di tutte queste mosse sarebbero la scomparsa di un effettivo sistema di garanzie, una alterazione degli equilibri costituzionale che ci porterebbe verso un mutamento di regime. Quest’orizzonte ravvicinato, realistico e ineludibile, è quello al quale si deve guardare per individuare le strategie possibili per opporsi a questa ascesa, che appare a qualcuno non più resistibile con i mezzi ordinari della democrazia. Ma immaginare rovesciamenti del tavolo rischia di distogliere l’attenzione dalla faticosa ricerca di quel che deve essere fatto qui e ora. Dicevo che la fase due, quella della decostituzionalizzazione, è inquietante, ma pure pericolosa. Il pericolo nasce dal fatto che siamo di fronte a proposte che potrebbero dividere il fronte delle opposizioni. Quando comparve la proposta di riforma costituzionale della giustizia, subito si materializzò il singolare partito dei «sedersialtavolisti». Ma chi mai accetterebbe di sedersi ad un tavolo da gioco insieme ad un baro, al tavolo di un ristorante dove il cuoco è un noto avvelenatore travestito da chef creativo? Mi auguro che la lezione del processo breve alla Camera sia servita a dissuadere gli aperturisti ad ogni costo, convincendo tutti della necessità di mantenere saldo un fronte comune. Allo stesso spirito l’opposizione dovrebbe ispirarsi in tutti gli altri casi, compreso quello del testamento biologico dove qualche cattolico potrebbe essere sedotto dall’ingannevole richiamo a valori non negoziabili. In questi ultimi mesi Berlusconi ha costruito un conglomerato di cui non possono soltanto essere denunciate le modalità corruttive e i rischi grandi che fa cogliere al paese senza accompagnare questa diagnosi con una strategia politica conseguente – parlamentare, sociale, elettorale. E allora. Riprodurre in tutte le prossime occasioni parlamentari i comportamenti tenuti in occasione del processo breve, sfruttare ogni spazio parlamentare per far discutere le proposte dell’opposizione. Può reggere la maggioranza ad una mobilitazione permanente che coinvolga l’intero Governo? Non chiudersi in Parlamento, troppe cose avvengono nel paese. Costruire, quindi, una solida sponda politica per il crescente numero di cittadini che non si limitano a manifestare nelle piazze reale e virtuali ma, così facendo, costruiscono una concreta agenda politica. Ma, soprattutto, per le opposizioni scocca l’ora obbligata dell’unione, la sola a poter ricostruire le condizioni per una vera dialettica democratica. Forse solo la saggia parola alle Camere del Presidente della Repubblica può ricordare a tutti che la politica deve essere sempre «costituzionale».
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