La lezione di storia con «Faccetta nera» diventa un caso

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Purtroppo l’Italia ha compiuto 150 anni. Ne avesse festeggiati solo 130, non avremmo avuto l’imbarazzo di un ventennio. Anzi, del Ventennio, quello fascista naturalmente. Da dimenticare, demonizzare, espellere eternamente con ignominia dalla storia italiana? Oppure considerarlo a pieno titolo storia dell’Italia unita, canzonette comprese? Una risposta è doverosa, se non altro per dare indicazioni univoche agli insegnanti, a cominciare dal professore di Pove del Grappa investito da squillanti polemiche per colpa dello spartito di «Faccetta nera» . Questo professore doveva raccontare il fascismo ai suoi studenti e tra i documenti dell’epoca ha incluso un inno che, insieme a «Giovinezza» , è uno dei simboli di quel ventennio. I genitori antifascisti non hanno retto all’immagine, anzi al suono, del loro figliuolo impegnato a canticchiare quel motivo. Scandalo? Scandalo. Chissà  se i genitori scandalizzati, e con loro i politici che hanno elevato la loro ferma protesta, hanno mai saputo che «Faccetta nera» fece scandalo anche allora, nel Ventennio. Per motivi opposti e politicamente scorrettissimi: perché incitava alla contaminazione razziale, istigava i soldati dell’Italia fascista a correre dietro le «faccette nere» dell’Etiopia conquistata e razzialmente impure. Certo, per sapere qualcosa delle imprese coloniali e aggressive dell’Italia mussoliniana che osannava a Piazza Venezia la presa di Addis Abeba occorrerebbe istruire gli studenti, ma anche i politici correttissimi che si scandalizzano ancora oggi, su un romanzo aspro e malinconico come «Tempo di uccidere» di Ennio Flaiano, oppure sulle confessioni imbarazzate di Indro Montanelli. Ma con le celebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita, l’uso ossessivo delle canzonette come cemento simbolico decisivo dell’unità  nazionale sta diventando un’abitudine. Persino una consuetudine storiografica. Non sono solo canzonette: il contrario di ciò che predicava Edoardo Bennato. Ma in piena sintonia con Gianni Morandi. È stato Gianni Morandi, infatti, ad annunciare che quest’anno a Sanremo l’unità  nazionale sarebbe stata celebrata, nel tempio della canzone italiana, proponendo ai telespettatori una galleria di motivi tricolori capace di comprendere «Faccetta nera» e «Bella ciao» . Un’intenzione ecumenica, immediatamente stroncata da chi si considerava offeso per la riprovevole equiparazione tra l’eroica canzone partigiana e l’inno fascista che glorificava le imprese del Duce, anzi del duce. Niente equiparazione a Sanremo, dunque. Ma la lezione si è diffusa, e la canzonetta si è trasformata in un prezioso strumento didattico. Con alcune controindicazioni, come si è visto nella scuola del Veneto. Ma le canzoni del Ventennio fanno parte della nostra storia. Il fascismo fa parte della nostra storia, da studiare come fenomeno storico nazionale, da leggere come vicenda italiana. Oppure (ancora) no? Anche perché delle canzoni non si possono cambiare impunemente le parole e la scansione delle note. Non è come la toponomastica, come via dei Fori imperiali che a Roma sostituisce democraticamente la fascistica Via dell’Impero, e il Foro Mussolini che si trasfigura in un più onnicomprensivo Foro Italico (con l’obelisco che però resta con il suo «Mussolini Dux» ). La musica è più complessa, meno manipolabile. E allora: o cancellazione e messa al bando, oppure normalizzazione. Tertium non datur. Come è accaduto con l’architettura del Ventennio. Prima demonizzata, vituperata nei manuali democratici, esteticamente svilita. Poi ricompresa nella storia dell’architettura nazionale, con le sue forme squadrate e monumentali che oggi sembrano quasi «belle» . E i manuali scolastici e universitari cosa devono fare: ignorarla, insegnare a detestarla oppure studiarla come uno dei tanti oggetti del passato? È il dilemma del Ventennio non ancora risolto: studiarlo come storia o farne bersaglio permanente dell’esecrazione pubblica? E l’esecuzione documentaria di «Faccetta nera» va accompagnata da appositi riti di dileggio e disgusto per quel capitolo controverso della storia nazionale? Affidare al singolo insegnante la soluzione di questo dilemma è ingiusto. Ma ancora di più è sintomo di un eccesso di nervosismo storico l’ennesima polemica su «Faccetta nera» , come se chissà  quale minaccia gravasse sulle menti di chi frequenta la scuola pubblica. Polemica uguale, sia pur di segno contrario, a quella che è divampata sui manuali di storia troppo intrisi di «comunismo» . L’ennesima, in questi 150 anni di storia unitaria: 150, non 130.


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