La grande vittoria di Della Valle “Una svolta per l’intero sistema”
Su Giovanni Bazoli aveva invece corretto subito il tiro, giudicandolo di ben altra pasta rispetto a colui che ha tirato i fili del potere da un trentennio a questa parte. Tuttavia, fino a ieri mattina erano in pochi pronti a scommettere che il patron della Tod’s sarebbe uscito vincitore da un confronto che fin dall’inizio si preannunciava apocalittico. Al grido di «adesso basta», l’imprenditore di Casette d’Ete che in tv ama parlare dei suoi amici artigiani marchigiani, è partito lancia in resta e negli ultimi due mesi non ha fatto altro che occuparsi di Generali. Continuando a ripetere che non c’è niente di personale in questa sfida: «Se fosse così si risolverebbe come fanno due amici al bar», è la sua frase ricorrente, invece ciò che è avvenuto «è il contrario di un accordo di potere, ognuno ha fatto la sua parte, c’era voglia di cambiamento e di respirare aria fresca», riferiscono i suoi uomini che lo hanno assistito nel bel mezzo della battaglia. E la “squadra”, per dirla alla Montezemolo, che Della valle è riuscito a mettere in campo è sicuramente di primo piano. Dietro le quinte ha avuto un peso importante la giravolta di Tremonti, che un anno fa aveva sostenuto il passaggio di Geronzi sullo scranno di Generali mentre ora gli ha voltato le spalle. Ma altrettanto importanti sono stati il sostegno della Fondazione Crt e del suo dominus Fabrizio Palenzona, manager e banchiere cresciuto a dismisura con l’uscita di Alessandro Profumo da Unicredit. E poi i tre consiglieri indipendenti abilmente indirizzati da Domenico Siniscalco, e non da ultimo, fatto forse decisivo, la presa di posizione di Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca che è anche il maggiore azionista di Generali. «Potrebbe essere una svolta per tutto il sistema, la gente non deve più aver timore di muoversi nelle ragnatele delle stanze italiane, è un’operazione di portata generale», sono le parole chiave che hanno contrassegnato la campagna di cui Della Valle è stato l’elemento coagulante. E così, di fronte a tale compattezza, l’uomo che si era vantato di fronte al mondo di non aver bisogno di deleghe ma che gli bastava «alzare il telefono» per comandare dove voleva, è capitolato. «Non ci sono miti intoccabili, bisogna finirla con il millantato credito, quando si va avanti tutti insieme nessuno li segue più, neanche la politica», aveva detto Della Valle ai compagni di cordata in una delle tante riunioni che hanno preceduto il cda di ieri. «Siamo tutti arrivati all’età in cui riconosciamo i pitbull, i labrador e i cani da salotto», rincarava la dose quando serviva per smuovere le coscienze. La società civile, quella evocata dal suo amico Montezemolo, molte volte latitante, ora sembra avere qualche freccia in più nell’arco. I manager 40 e 50enni possono prendere più coraggio, gli imprenditori possono avvicinarsi alle banche senza il timore di padrinaggi politici. Della Valle in questa partita ci ha messo la faccia e ora è giusto che raccolga qualche frutto. Sono in molti a pensare che il suo vero obbiettivo sia la Rcs e il Corriere della Sera, un salotto dal quale ora Geronzi è uscito visto che si è dimesso da tutte le cariche comprese quelle in Rcs, Mediobanca e Pirelli. Lui nega, si schermisce, ma è evidente che un pensiero ce lo sta facendo. «C’è un patto e non posso comprare per due anni», aveva detto dopo l’ultima riunione dei soci forti che avevano confermato l’accordo parasociale e confermato la direzione De Bortoli. Se però il patto si sciogliesse, Della Valle sarebbe pronto a comprare: qualcuno dice che abbia già intavolato un discorso con Giuseppe Rotelli, qualcun altro sostiene che anche Mediobanca sarebbe pronta a uscire se però lo fanno tutti. Certo che, come in un domino, fatto saltare il tappo ora si attendono gli effetti a catena. E uno dei primi che potrebbe sopportarne le conseguenze è Marco Tronchetti Provera, vicepresidente di Mediobanca proprio per volere di Geronzi a cui si era legato con un filo doppio negli anni della Telecom e del dopo Telecom. Nella consapevolezza, che per tanto tempo ha sempre prevalso, che cane non mangia cane. Il sistema si teneva, ora forse non si terrà più. A qualcuno, per esempio, non è sfuggita la sottile vendetta di Renato Pagliaro, il presidente di piazzetta Cuccia, delfino di Vincenzo Maranghi, che non ha mai digerito il tradimento di Salvatore Ligresti attirato sull’altra sponda dal Geronzi allora al vertice di Capitalia e dai crediti facili dei banchieri di sistema. Con il supporto fondamentale dell’Unicredit di Palenzona sono state messe sotto tutela le casseforti di Ligresti e i pacchetti strategici in esse contenuti e poi è stata tirato la stoccata finale all’ex banchiere romano trasmigrato in Generali. Ora bisognerà vedere come reagiranno i francesi legati a Vincent Bolloré e che avevano puntato tutte le carte sul sodale Geronzi, prima in Mediobanca e poi in Generali. «Bollorè non ha una strategia per l’Italia», ha detto il grande vecchio Antoine Berhneim nostalgico di Trieste alla tenera età di 86 anni. Il ritorno di fiamma di Groupama su Fonsai, cronaca delle ultime ore, potrebbe essere una prima risposta. Un nuovo attacco a Giovanni Perissinotto, ormai plenipotenziario in Generali, è un passo da non escludere e che forse troverebbe consenzienti altri soci forti del Leone. Ma il vero redde rationem è atteso a fine anno con il rinnovo del patto della stessa Mediobanca. Un manipolo di Fondazioni guidato da Palenzona e qualche imprenditore coraggioso alla Della Valle potrebbero cacciare i francesi seguendo la linea Maginot tracciata da Tremonti. Nel frattempo i giovani della nouvelle vague italiana dovranno dimostrare sul campo di essere molto diversi dai loro predecessori.
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