La dinastia d’America sbarca in televisione tra sesso, mafia e droga
NEW YORK – Appuntamento domenica sera per rilanciare la «guerra di religione» che divide l’America da sessant’anni. Adorata dai progressisti, vilipesa dalla destra, la dinastia dei Kennedy ha ancora questo potere. Né i Clinton né i Bush hanno avuto le tragedie e il glamour della “monarchia repubblicana” di Boston. Dunque portare in tv una “fiction storica” o un “docu-drama” sui Kennedy è un’impresa già di per sé esplosiva. Se poi a farlo è un noto regista con ottime credenziali televisive ma schierato a destra, ci sono gli ingredienti per uno scandalo nazionale. E infatti da più di un anno prima del debutto, la serie The Kennedys ha già provocato battaglie furibonde. Scese in campo poco prima di morire uno dei più celebri consiglieri di John Kennedy, lo storico Theodore Sorensen. Appena ebbe visione della sceneggiatura, Sorensen si unì a un gruppo di intellettuali per denunciare le «falsificazioni storiche». Un regista di sinistra, Robert Greenwald, ha prodotto perfino un mini-documentario contro The Kennedys (www.stopkennedysmears.com) per denunciare «questo tentativo di assassinio politico postumo, che trasforma la storia in un’interminabile soap opera». Sotto accusa, negli otto episodi della serie, ci sono le scene di sesso esplicito in cui l’ex presidente è nudo in piscina con una giovane donna (Marilyn Monroe?), noncurante della presenza degli agenti di scorta. Frasi improbabili attribuite a Bob Kennedy: «Se non faccio sesso con una donna diversa ogni due o tre giorni mi viene l’emicrania». Allusioni controverse ai rapporti tra il padre Joseph e la mafia italoamericana. L’insistenza sull’abuso di analgesici e psicofarmaci da parte di John e Jacqueline Kennedy («gran parte del film sembra girato in una farmacia», ironizza lo storico Richard Reeves). Altre inesattezze hanno esasperato gli storici: nel film sarebbe stato JFK ad avere l’idea della costruzione del Muro di Berlino (1961), una pura e semplice falsità . A scaldare gli animi ha contribuito senz’altro la personalità del produttore, Joel Surnow, noto per le sue posizioni vicine all’ala più conservatrice del partito repubblicano. Oltre ad essere amico personale dell'”agitatore radiofonico” di estrema destra Rush Limbaugh, Surnow ha lavorato spesso per la Fox di Rupert Murdoch. E la sua serie 24 fu accusata di contenere un’implicita apologia della tortura. Un anno di polemiche su The Kennedys ha sortito una clamorosa defezione. History Channel, che aveva inizialmente commissionato questa serie, ha rinunciato ad acquistarla (andrà in onda invece su ReelzChannel). Un voltafaccia così repentino che qualcuno vi ha visto dietro l’intervento della famiglia Kennedy: anche dopo la morte dell’ultimo leone della politica, il senatore Ted scomparso nel 2009, il clan del Massachusetts continua ad avere un’influenza. A difendere The Kennedys è sceso in campo un big del cinema d’autore, Oliver Stone, lui stesso “colpevole” di essersi preso delle libertà nei suoi film storici dedicati a ben tre presidenti: lo stesso JFK, Richard Nixon e George Bush. «A un certo punto – ha detto Stone – devi lasciarti dietro le spalle il materiale storico ed entrare nel mondo della creatività drammatica, usare l’intuizione per riempire i vuoti di conoscenza, immaginare ciò che fu detto nei momenti in cui non c’era nessuno per documentare gli eventi». La serie tv esce in una fase fertile per questo genere: sia Il discorso del re che The social network sono rielaborazioni sulla storia e la cronaca di eventi e personaggi reali. Il cast della serie è di qualità : nella parte del presidente assassinato nel 1963 c’è Greg Kinnear (Qualcosa è cambiato, Little Miss Sunshine), Katie Holmes è Jackie, Tom Wilkinson il patriarca Joseph. Ma più che alla qualità dello spettacolo, da domenica l’America si appassionerà di nuovo agli uomini che rappresentarono lo spirito liberal degli anni Sessanta e la Nuova Frontiera. Perché una parte del paese continua a credere che il suo destino sarebbe stato molto diverso, se John e Bob non fossero stati uccisi.
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