La CGIL alle imprese: parliamo di fisco e lavoro

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O perlomeno a rinviarlo, a tempi più tranquilli. Dall’altro lato c’è Susanna Camusso, che ha impostato questo primo anno al timone della Cgil alla ricerca di un dialogo con le imprese e con Cisl e Uil, nonostante i mugugni della parte sinistra della sua confederazione, contraria al dibattito con la leader confindustriale fino alla riconquista di un rapporto di forza sufficiente: a uscire allo scoperto alla vigilia del faccia a faccia (mai avvenuto) di ieri era stato il fiommino Giorgio Cremaschi, interpretando forse gli umori dell’area di opposizione interna «La Cgil che vogliamo». A fare da «ponte» con la Confindustria, invece, si era offerta la Flai Cgil, categoria dell’agroindustria, che aveva invitato Camusso e Marcegaglia all’assemblea nazionale delle donne: la segretaria Stefania Crogi non è nuova al lancio di dibattiti «difficili»; già  l’anno scorso offrì la platea del Congresso al ministro del Welfare Maurizio Sacconi, certamente non amatissimo in ambiente Cgil. Al confronto con Camusso, la Confindustria è arrivata con la vicepresidente Cristiana Coppola. Crogi, offrendole la parola, sottolinea come la donna resti indietro rispetto all’uomo, con salari e inquadramenti inferiori. Secondo Coppola, «se il tasso di occupazione femminile fosse pari a quello maschile, il Pil italiano potrebbe aumentare del 32%». Camusso nota la rappresentanza minima delle donne in Parlamento: «Eppure nel Paese siamo il 52%, e gli uomini il 48%». La Flai ricorda la proposta di legge contro il caporalato, elaborata insieme alla Fillea: «Ci piacerebbe che la Confindustria aderisse a quell’appello», dice Crogi. C’è poi il nodo del 6 maggio, lo sciopero generale indetto dalla sola Cgil: «Cara Susanna non sei sola, non sei stata violentata dalla Fiom», dice tra il serio e il faceto Crogi durante una standing ovation della platea. «Il 6 maggio – dice Camusso – non vogliamo solo riempire le piazze, ma vuotare i luoghi di lavoro. Nel suo videoappello, Marcegaglia ha usato la parola ‘solitudine’, termine che io non vorrei sentire più. La nostra prima parola deve essere invece ‘lavoro’». E qui c’è il no della Cgil alla proposta di Fini sullo scambio tra contratto unico e articolo 18, sul modello del Pd Ichino: «Basta flessibilità  e precarietà  – dice la segretaria Cgil – Ma no anche al lavoro senza diritti: non ci stiamo a scambiare il contratto unico con la libertà  di licenziamento, anche perché non funziona. Lo dimostrano questi ultimi anni, dove la facilità  di assumere e licenziare con i contratti atipici non ha portato alcuna crescita». «La seconda parola che vorrei sentire – continua Camusso – è ‘fisco’: le retribuzioni dei lavoratori devono crescere, e qualcuno deve redistribuire. Nel nostro paese pagano le tasse i pensionati, i lavoratori, le imprese manifatturiere e una parte del lavoro autonomo: non paga chi ha le rendite finanziarie, chi ha i grandi patrimoni, chi evade. Se il 10% del Paese ha il 45% delle ricchezze, gli si può chiedere che ci mettano un po’ del loro. Ma la proposta che circola in questi giorni di tassare i beni di consumo contiene tre ingiustizie: colpisce chi ha i consumi obbligati, cioè le fasce medio-basse; colpisce allo stesso modo chi ha redditi bassissimi e chi ha redditi alti; fermerà  mercato interno e consumi». «Infine, si dovrebbe ripristinare la legge contro le dimissioni in bianco». Simpatica e un po’ amara la conclusione della festa delle donne Flai, con un brano dei «monologhi della vagina», recitato dall’attrice Lunetta Savino.


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