In Italia vendite auto giù del 27% Negli Usa Chrysler vola: +31%

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TORINO – Lingotto a due facce sul mercato dell’auto. A marzo perde oltre il 31 per cento in Italia e guadagna la stessa percentuale negli Usa nel confronto con il marzo del 2010. In termini assoluti il successo di Chrysler negli Usa vale 121.730 auto mentre lo scivolone sul mercato italiano porta la casa torinese a 55 mila pezzi venduti contro gli 80 mila dello stesso mese dello scorso anno. Il successo americano conferma il trend positivo del primo trimestre a riprova del fatto che la cura Marchionne oltreoceano ha funzionato. In Italia invece i marchi del gruppo perdono più del mercato, che scende del 27 per cento. I dati di marzo sono gli ultimi che si confrontano con l’effetto incentivi che in Italia terminò alla fine del primo trimestre 2010. Quel che colpisce di più gli analisti non è tanto il confronto percentuale, che solo dal mese prossimo potrà  essere depurato dall’influenza degli aiuti di Stato, quanto il bassissimo livello delle vendite assolute. Per trovare numeri simili bisogna tornare indietro di 15 anni, al 1996. «Questo basso livello – sostiene Gianprimo Quagliano del Centro studi Promotor di Bologna – è il segno di una stagnazione che si prolunga più del previsto. Avevamo immaginato che la ripresa avrebbe consentito al mercato italiano di tornare ai livelli precrisi nel 2015. Ma con questi ritmi credo che dovremo posticipare la data». Tra i marchi del gruppo di Torino perdono Fiat e Lancia mentre si conferma il grande successo dell’Alfa grazie alle performance della Giulietta. Nei prossimi mesi il Lingotto prevede di portare sul mercato i primi modelli nati dalla collaborazione con Chrysler e dalla fine del 2011 la nuova Panda prodotta a Pomigliano. Scenario quest’ultimo che, nel breve periodo, potrebbe rallentare ulteriormente le vendite in conseguenza di una sorta di effetto-attesa. Sul piano sindacale si è registrata ieri una importante novità  a Melfi dove le Rsu, compresi i rappresentanti della Fiom, hanno accettato in via sperimentale l’applicazione della nuova organizzazione del lavoro che, a differenza di quanto accaduto a Pomigliano e Mirafiori, non impone la riduzione delle pause da 40 a 30 minuti.


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