by Editore | 6 Aprile 2011 7:10
TUNISI – L’incubo è finito poco prima delle 19: Roberto Maroni ha siglato con il collega tunisino «l’accordo tecnico per rafforzare la cooperazione, prevenire l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani», Italia e Tunisia hanno messo il primo faticoso mattone di una costruzione che regolerà l’afflusso degli immigrati. Un accordo che, nonostante le richieste della Lega, non sarà solo un muro. Ma per il ministro dell’Interno è stata un’edificazione impegnativa, quasi estenuante. Alla fine però un risultato sembra raggiunto: Tunisi ha accettato i respingimenti immediati di chi da ora in poi sbarcherà in Italia. In cambio ha ottenuto che per chi è già nelle tendopoli si apra la strada del permesso temporaneo di soggiorno per motivi umanitari. La mattinata è stata spesa a limare, aggiustare, ridefinire: lavoro per i tecnici delle due parti. Maroni sperava di poter dare un annuncio positivo già nel pomeriggio, tanto che aveva programmato una partenza poco dopo le 15. Invece c’è voluto il suo impegno e quello dell’ambasciatore italiano Piero Benassi per superare le resistenze in sede di trattativa bilaterale, con le porte chiuse persino ai tecnici. Ma dopo la firma, riserbo assoluto sui contenuti, con l’esplicita indicazione di tenere un “profilo basso”. Una scelta che lasciava spazio a ipotesi poco soddisfacenti: che si trattasse solo di un’intesa minima, oppure che i rimpatri sarebbero cominciati subito e che la riservatezza fosse necessaria per evitare di vedere Lampedusa messa a ferro e fuoco. Al di là del riserbo, le difficoltà della trattativa erano evidenti: come diceva un diplomatico, era «un braccio di ferro fra due Paesi entrambi attentissimi ai problemi di politica interna». L’Italia rischiava di vedere sfasciarsi la coalizione di governo, con Umberto Bossi che chiedeva di «svuotare la vasca», minacciando apertamente la sopravvivenza della coalizione che sostiene Berlusconi se non fosse stato accontentato. Il governo tunisino, debolissimo perché ad interim, si ritrovava spinto a decisioni impopolari e a severissimi problemi d’ordine pubblico. Il nodo su cui le trattative si fermavano era quello dei rimpatri forzosi: una prospettiva capace di far cadere il gabinetto di Beji Caà¯d Essebsi, ma anche di provocare gravissime difficoltà di ordine pubblico anche in Italia. Nei giorni scorsi si era ragionato sui problemi insormontabili di un rimpatrio aereo non gradito, su quelli altrettanto seri di un rientro forzato dei clandestini per via nave. A Tunisi, Maroni non ha voluto aprire bocca sui dettagli dell’accordo, accennando solo al fatto che «parla anche di rimpatri» e che grazie all’accordo «chiuderemo i rubinetti». Ha aggirato abilmente anche la domanda di un ingenuo cronista tunisino, che gli aveva chiesto se c’erano dettagli che riguardassero Lampedusa, limitandosi a ribadire che quello firmato «è un accordo sull’immigrazione». Ma, ancora una volta, il nodo è nei dettagli. Andrà chiarito il futuro della legge Bossi-Fini, che rischia di essere aggirata o addirittura superata se, come ormai pare certo, verranno concessi con un decreto permessi temporanei su base umanitaria ai clandestini che già si trovano in Italia. Così però si consentirà loro il sorpasso di chi ha chiesto un permesso attraverso le vie legali ed è ancora in attesa. Si dovrà capire come accertare i legami familiari che rendono possibile la concessione dei permessi umanitari per favorire i ricongiungimenti. E bisognerà soprattutto vedere se davanti ai primi permessi l’impegno ai rimpatri forzati per i nuovi arrivi sarà sufficiente a tenere i disperati lontani dalle coste di Lampedusa.
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