Il tunisino con il primo permesso “Sogno la Francia, qui c’è il caos”
VENTIMIGLIA – Il primo permesso di soggiorno sarà il suo. Tra una settimana al massimo, garantisce il questore di Imperia, Pasquale Zazzaro. Moudar però non ci crede. Non ancora. Nemmeno mentre si rigira tra le mani il cedolino che gli hanno consegnato giovedì sera al commissariato di Ventimiglia. “Moudar S., nato a Djerba il 5 febbraio 1979”: l’altro pomeriggio ha ripetuto le sue generalità , ha fatto le foto di faccia e di profilo, si è fatto prendere le impronte, ha raccontato di essere arrivato a Lampedusa venti giorni fa. Quel pezzetto di carta è la prima pagina della sua nuova vita. Gli scappa una strana smorfia. Non si fida degli italiani, dice: «Perché sono gentili, ma fanno tanto casino: un mio amico ha ricevuto insieme un decreto di espulsione e la richiesta di diritto di asilo. Un altro deve presentarsi alla questura di Bari e a quella di Catania: lo stesso giorno. Non ci capisce nulla, nessuno gli sa dire se rischia di finire in galera oppure no». E allora anche lui, Moudar, dopo undici giorni a Lampedusa, quattro a Catania e tre a Bari, ora a Ventimiglia, non ci capisce nulla: arriverà davvero quel permesso? «Forse giovedì. Speriamo. Io so solo che adesso la cosa più importante è avere un passaporto. Lunedì vado al consolato di Genova, ho già fatto la richiesta: i miei dicono che sarà subito pronto». Perché il passaporto? «Se davvero mi danno il permesso, voglio andarmene in Francia. Immediatamente. Ma ai francesi il permesso non basta. Loro vogliono il passaporto». E un po’ di denaro. «Un po’? Vogliono 62 euro per ogni giorno che ho intenzione di passare laggiù, 31 se dimostro che qualcuno mi ospiterà . Per fortuna ho uno zio che lavora a Tolone, lui mi presterà il denaro. Ma basterà o tireranno fuori qualche altra scusa? L’ho chiesto ad un poliziotto italiano, in commissariato: ha allargato le braccia». Ci sono solo dubbi nella testa di Moudar. Dubbi, e due certezze. «La prima è che in Tunisia non ci torno. Che ci provino, a rimpatriarmi. Mi butto dalla nave, mi ammazzo. La seconda? Che non resterò in Italia». Perché no? «Perché i miei parenti sono in Francia. Perché laggiù c’è lavoro, ti pagano. In Italia no, quei pochi amici che vivono qui mi hanno detto che è uno schifo. Anche loro vogliono andarsene via». Parla solo arabo, per fortuna c’è Amal – la mediatrice marocchina della Cgil, un piccolo angelo che traduce per tutti da tre giorni e tre notti – che fa interprete. «Al mio paese avevo un diploma da perito informatico, ma era carta straccia. Sono qui per lavorare, qualsiasi cosa. Lavorare, e vivere». Nei primi due giorni sono state una trentina le richieste di permesso di soggiorno presentate in commissariato a Ventimiglia, mentre a centinaia hanno continuato a passare il confine. Dicono che la polizia francese abbia allargato le maglie. Ieri ne ha respinti solo sei. «In caserma, dove ci ospitano, ora stiamo stretti. Ci sono anche tre persone che dormono in un letto. Ma la gente è gentile, ospitale. Dicono di aver fiducia, di restare qui che tutto si aggiusterà . Pochi ci credono. Io aspetto il permesso e poi me ne vado. Per sempre».
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