Il terremoto piega l’auto giapponese Toyota perderà  la leadership mondiale

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TORINO – L’effetto terremoto favorisce la Gm. I dati della produzione di marzo in Giappone confermano che le conseguenze del disastro dell’11 marzo sul mercato dell’automobile mondiale si faranno sentire per tutto il 2011 e potrebbero sconvolgere la classifica mondiale dei costruttori, retrocedendo la Toyota dal primo al terzo posto. Un dato che non è puramente statistico: ormai i giganti delle quattro ruote realizzano buona parte delle loro vendite nei paesi emergenti dell’Asia, Cina in testa, e il paese del Sol levante potrebbe pagare a caro prezzo l’opportunità  che si offrirà  nei prossimi mesi ad americani e tedeschi per consolidarsi in quei mercati strategici. Preoccupazioni che spiegano per quale motivo ieri Standard and Poor’s abbia rivisto da «stabile» a «negativo» l’outlook di Toyota, Nissan e Honda ipotizzando un «deterioramento delle performance operative a causa del forte taglio della produzione». I dati delle immatricolazioni di marzo sono impressionanti. Negli stabilimenti giapponesi della Toyota la produzione è crollata del 63 per cento, dai 349.975 pezzi del marzo 2010 ai 129.941 dello stesso mese di quest’anno. Sono andate perdute 220.000 automobili in venti giorni, undicimila al giorno. Molte erano già  state realizzate e sono state spazzate via dallo Tsunami quando si trovavano sui piazzali pronte alla consegna. Ma in un mercato che da decenni riduce al minimo le “polmonature” nei depositi, e con costruttori che fanno produrre le linee seguendo i ritmi degli ordini al concessionario, c’è da credere che gran parte delle 220mila auto perdute a marzo non sia stata proprio costruita. Non per mancanza di ordini ma per l’impossibilità  di produrre. Non solo nel Nord Est del Giappone – l’area più colpita dal terremoto e dall’onda anomala – ma anche nella regione di Tokyo, i razionamenti dell’energia elettrica hanno reso imprevedibile la produzione legandola ai capricci di questa o quella centrale più che ai desideri dei clienti. Alle difficoltà  degli stabilimenti di assemblaggio finale si sommano quelle dei produttori di componenti. La carenza di parti importanti dell’auto finisce per creare quelli che gli esperti di processi produttivi chiamano colli di bottiglia: basta il ritardo nella fornitura di un piccolo pezzo per bloccare un intero stabilimento. Anche in questo caso l’organizzazione della produzione e del mercato non aiuta: il 70 per cento di un’automobile oggi viene realizzato all’esterno della fabbrica di assemblaggio finale e ogni modello nasce con una piattaforma di fornitori precisa. Cambiare componenti in corso d’opera è praticamente impossibile. «Inoltre – faceva notare ieri un analista di Shanghai all’agenzia Bloomberg – le case giapponesi tengono più di altri costruttori a rifornirsi dai fornitori giapponesi». E dunque, in questo caso, sono più vulnerabili della concorrenza. Gli effetti del fenomeno sulla produzione della Toyota si possono misurare già  oggi: mentre gli stabilimenti giapponesi hanno perso a marzo 220mila pezzi, a livello mondiale la produzione Toyota è scesa di 232mila auto. Dunque 12mila auto non sono state prodotte per carenza di componenti, che provenivano da stabilimenti distanti anche decine di migliaia di chilometri dai luoghi effettivi del sisma. Quali conseguenze potrà  avere questo calo sulla classifica dei costruttori? Tutti gli analisti concordano sul fatto che sarà  necessario attendere il mese di dicembre perché l’industria dell’auto giapponese possa tornare ai livelli precedenti il terremoto. Dunque, se Toyota mantenesse l’attuale calo produttivo per tutto il periodo che va da marzo a dicembre, perderebbe nel 2011 circa 2,3 milioni di auto e scenderebbe a poco più di 6 milioni di pezzi, sotto il livello della Volkswagen che oggi è al terzo posto. Si tratta, naturalmente, di una semplice proiezione, e c’è da giurare che i giapponesi faranno di tutto per riprendersi prima del previsto e mantenere la loro leadership. Se non ci riuscissero, tornerebbe a guidare la classifica assoluta la General Motors, passando dalle stalle alle stelle dopo il rischio di fallimento corso nel 2009. Ma Detroit potrebbe rimanere per poco la capitale mondiale dell’auto, se i tedeschi di Volkswagen riuscissero a centrare il loro obiettivo: conquistare la vetta del mondo delle quattro ruote entro il 2018.


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